“Il grosso dei mutamenti non è più legato alla pandemia. È un riassestamento del mercato“. Dalla crescente centralità dei collegamenti aeroportuali alla tenuta del modello competitivo italiano, lo studio The long-distance coach market in Europe | Year 2019-2024, realizzato dal Traspol (il Laboratorio di Politica dei Trasporti del Politecnico di Milano) in collaborazione con la piattaforma Checkmybus.com, analizza le trasformazioni in atto nel settore delle autolinee a lunga percorrenza, con un focus sull’andamento del prezzo dei biglietti. È stato presentato l’8 maggio.

Ne abbiamo parlato con il professor Paolo Beria, direttore del Traspol, che ha sottolineato come la domanda si stia stabilizzando sulle tratte medio-brevi, mentre si consolidano dinamiche originali nel contesto italiano: concorrenza intramodale elevata, aumento dei prezzi più contenuti rispetto al resto d’Europa, e una domanda in evoluzione, anche demografica. Ma non mancano le criticità: assenza di dati ufficiali, autorizzazioni complesse e snodi intermodali ancora inadeguati.

I prezzi sono aumentati, ma sono aumentati anche quelli ferroviari. Quindi l’autobus mantiene un vantaggio di prezzo, e questo resta una leva importante. Ma non è l’unica: la possibilità di servire collegamenti diversi dalla ferrovia è un altro grande vantaggio. Un autobus che replica la ferrovia ha solo la leva del prezzo, oppure, se il viaggio è lungo, quella della comodità (bagagli caricati, si dorme e si arriva). Ma il vero punto è saper intercettare meglio il cliente, andandolo a prendere senza che debba raggiungere una stazione.

Paolo Beria, direttore laboratorio Traspol del Politecnico di Milano

Mercato europeo della lunga percorrenza: cresce l’aeroportuale

Lo studio mostra una crescente concentrazione dei passeggeri sulle tratte a corto e medio raggio, con una crescita significativa dei collegamenti aeroportuali. Quali sono i principali fattori che stanno guidando questa trasformazione del mercato?

Sugli aeroportuali credo che la risposta sia abbastanza semplice: si tratta di un mercato più ricco e in crescita. Le imprese, man mano che acquisiscono conoscenza del mercato in cui operano, capiscono dove conviene muoversi e tendono a servire i segmenti più redditizi e, elemento non secondario, quelli dove c’è meno concorrenza intermodale. Bergamo, per esempio, o la stessa Malpensa, che sono collegate solo tramite trasporti ferroviari regionali con il capoluogo, si prestano a essere servite agevolmente da autobus verso il resto del Nord Italia. Questo mette in luce una forza intrinseca dell’autobus, che consente alle imprese di applicare tariffe più alte. In Europa si è effettivamente ridotta la domanda sulle relazioni lunghissime, dal 7,6% al 3,3%, che però come numero di passeggeri già rappresentavano una frazione marginale. Questo può dipendere in parte da un cambio di mix tariffario. In ogni caso, a livello europeo, il cuore del mercato resta quello tra i 100 e i 300 km. In Italia siamo abituati ad avere autolinee molto lunghe, ma in molti altri paesi non è così.

Tra le tendenze individuate dallo studio, ci sono aspetti che ritenete un lascito della pandemia, o i cambiamenti rilevati vanno considerati come una ristrutturazione della domanda ormai indipendente da fattori pandemici?

È molto difficile stabilire le cause esatte dei cambiamenti. La mia sensazione è che il grosso dei mutamenti sia un riassestamento del mercato, non più direttamente legato alla pandemia. Non vediamo grandi trend che si possano attribuire al post-Covid. 

Sapere i volumi, i flussi, i passeggeri, perfino chi sono, consentirebbe di fare politiche più mirate: sulle stazioni, sui nodi di scambio, su dove far fermare i bus, ecc. L’autostazione non è solo una questione di estetica o funzionalità, ma anche di localizzazione. In molte città italiane l’autostazione è “quella” solo perché esiste da sempre. In un’ottica di medio-lungo periodo avrebbe senso valutare eventuali aperture o spostamenti di autostazioni, se non funzionali.

Paolo Beria, direttore laboratorio Traspol del Politecnico di Milano

Tra le specificità italiane emerge il tema della molteplicità di operatori sulle singole tratte. Evidentemente non è un caso se da noi, come rileva il vostro studio, la crescita dei prezzi è stata inferiore rispetto ad altri paesi europei…

Sicuramente i due aspetti sono collegati. In Italia abbiamo non solo un patrimonio storico di imprese, ma anche la presenza di Itabus che, come player nazionale, rappresenta un contraltare a Flixbus. In altri paesi non è così. Il mercato italiano, che era molto competitivo all’inizio, continua a esserlo e, in effetti, presenta somiglianze con il mercato est-europeo o balcanico, in senso positivo: molte imprese e un’intensa concorrenza rispetto all’Europa occidentale, dove i mercati tendono invece a concentrarsi.

Itabus Liguria

L’intervento delle istituzioni… che manca

È piuttosto complicato, nel caso italiano, quantificare le quote di mercato dei principali operatori…

È vero, e a dirla tutta non dovrebbe essere compito degli studiosi, ma del ministero. In Francia, ad esempio, l’Autorità dei Trasporti lo fa per legge. Tutte le imprese devono comunicare all’autorità competente quanti chilometri percorrono, quanti passeggeri trasportano e quanti passeggero/chilometri. Se lo sapessimo anche in Italia, avremmo un quadro chiaro del mercato.

Collegandoci all’esempio che ha appena fatto, osservando gli altri mercati europei avete individuato delle policy che ritenete auspicabile fossero introdotte anche in Italia?

Direi senz’altro il tema del monitoraggio. Se si vuole regolare un mercato, anche se liberalizzato, lo si deve prima conoscere. La profonda ignoranza che abbiamo oggi in Italia su questo settore è un problema. In un mercato quasi completamente liberalizzato le amministrazioni pubbliche non devono avere un ruolo diretto nell’operatività, ma conservano un ruolo per esempio per quanto riguarda le autostazioni, i punti di connessione con il territorio. È su questo aspetto che servirebbero policy, ma attualmente non mi risulta ce ne siano.

Dunque: un monitoraggio funzionale a conoscere il mercato e interventi su autostazioni e snodi.

Esatto. Non è al momento il nostro caso, ma sarebbe opportuno conoscere quanto pesano i vari operatori per poter individuare eventuali posizioni dominanti. In Germania questo tipo di analisi è stata fatta. Da noi non lo sappiamo, o almeno non lo sappiamo pubblicamente. E poi sapere i volumi, i flussi, i passeggeri, perfino chi sono, consentirebbe di fare politiche più mirate: sulle stazioni, sui nodi di scambio, su dove far fermare i bus, ecc. L’autostazione non è solo una questione di estetica o funzionalità, ma anche di localizzazione. In molte città italiane l’autostazione è “quella” solo perché esiste da sempre. In un’ottica di medio-lungo periodo avrebbe senso valutare eventuali aperture o spostamenti di autostazioni, se non funzionali.

In Italia abbiamo non solo un patrimonio storico di imprese, ma anche la presenza di Itabus che, come player nazionale, rappresenta un contraltare a Flixbus. In altri paesi non è così. Il mercato italiano, che era molto competitivo all’inizio, continua a esserlo e, in effetti, presenta somiglianze con il mercato est-europeo o balcanico, in senso positivo: molte imprese e un’intensa concorrenza rispetto all’Europa occidentale, dove i mercati tendono invece a concentrarsi.

Paolo Beria, direttore laboratorio Traspol del Politecnico di Milano

Le stazioni ferroviarie non si possono spostare, le autostazioni sì…

Considerando che in molti casi le autostazioni italiane sono poco più che dei marciapiedi, nulla impedisce di ripensarne la collocazione. Penso per esempio a Villa Costanza, a Firenze, realizzata lungo l’autostrada in corrispondenza della tramvia. Per certi collegamenti, orari e flussi è una soluzione ottima: fa risparmiare mezz’ora alla compagnia e quindi anche agli utenti.

flixbus
flixbus

È incredibile, ad esempio, come l’AV Medio Padana a Reggio Emilia, costruita a fianco dell’autostrada, non sia collegata con la stessa…

Esattamente. C’è uno studio per il Comune di Reggio Emilia che propone semplicemente la costruzione di due isole con delle scale per creare un’intermodalità perfetta tra autobus, treno, auto e Alta Velocità. Ma è rimasta un’idea. Infine, vedrei un terzo tema in cui servirebbe più attenzione da parte del regolatore pubblico.

Prego.

Il tema delle autorizzazioni di fermate e linee è inutilmente complicato e burocratico, mentre in altri paesi è molto più snello. In un mercato liberalizzato, dove l’obiettivo è mantenere una pluralità di operatori a vantaggio degli utenti, questo costo amministrativo finisce per ricadere sul prezzo dei biglietti. E richiede la presenza di player strutturati, in grado di gestire una sovrastruttura burocratica tutt’altro che necessaria.

Le conseguenze della liberalizzazione…

Qualche anno fa ha realizzato uno studio che analizzava le conseguenze della liberalizzazione. Allora risultava che dopo il 2014 erano entrati una cinquantina di nuovi operatori. Poi è arrivato il Covid. È possibile fotografare oggi la struttura del mercato, a dieci anni dalla liberalizzazione?

Abbiamo appena iniziato a lavorare a questo monitoraggio, quindi non ho una risposta precisa. Però mi pare che il mercato resti abbastanza dinamico. Certamente la presenza di un nuovo attore forte come Itabus rende probabilmente più difficile per i piccoli entrare, ma credo che ci siano ancora molte relazioni non servite, che nel tempo potrebbero essere sviluppate.

Quindi c’è ancora spazio per crescere?

Sì, secondo me sì. Con un cambiamento graduale nelle abitudini e una migliore integrazione con il resto del sistema di trasporti, credo ci sia ancora spazio per crescere.

Il PNRR prevede importanti investimenti sul ferro, anche su tratte storicamente forti per il trasporto su gomma. Quali ripercussioni possiamo immaginare?

Secondo me, gli unici due progetti che avranno un impatto rilevante sono la linea in Sicilia e la Napoli-Bari. Sono tratte dove il treno era storicamente inefficiente e dove le autolinee erano forti proprio per questo. Se il Napoli-Roma-Bari impiegherà 3 ore invece di 6, è chiaro che sarà un cambiamento. Ma credo che le compagnie sapranno riposizionarsi: l’aeroportuale, ad esempio, è un’opportunità. Inoltre, un miglior trasporto ferroviario pubblico non significa necessariamente una perdita netta per l’autobus: magari cresce l’intera quota di persone che usano il trasporto pubblico. Invece che andare in auto, posso andare in treno e tornare in autobus se il treno costa troppo. Come esistono autobus Milano-Roma e Milano-Venezia in concorrenza con l’AV, lo stesso avverrà in Puglia o in Sicilia. Il mercato continuerà a esistere, anche con tariffe e relazioni adattate. L’autobus ha sempre la forza di avvicinarsi più facilmente al cliente.

ANAV

L’autobus è ancora la scelta low cost?

Nel mercato allargato è ancora il prezzo la leva principale, o ci sono altri fattori? Forse il door-to-door diventa predominante?

I prezzi sono aumentati, ma sono aumentati anche quelli  ferroviari. Quindi l’autobus mantiene un vantaggio di prezzo, non ovunque in Europa, però. Nell’Est Europa è spesso il contrario, ma per altri motivi. Il prezzo resta una leva importante. Ma non è l’unica: la possibilità di servire collegamenti diversi dalla ferrovia è un altro grande vantaggio. Un autobus che replica la ferrovia ha solo la leva del prezzo, oppure, se il viaggio è lungo, quella della comodità (bagagli caricati, si dorme e si arriva). Ma il vero punto è saper intercettare meglio il cliente, andandolo a prendere senza che debba raggiungere una stazione.

La dinamica nell’ultimo quinquennio è abbastanza chiara: c’è stato un invecchiamento dell’utenza media. Questo può voler dire varie cose. Può voler dire che semplicemente i giovani di ieri sono diventati più ‘grandi’ e hanno continuato a usare l’autobus, quindi si tratta di una fidelizzazione dell’utenza. Oppure può voler dire che l’autobus ha intercettato nuove fasce d’età, magari anche grazie a un miglioramento dell’offerta, alla maggiore facilità d’acquisto dei biglietti, alla presenza di nuove tratte. Di sicuro c’è una crescita delle fasce d’età sopra i 35 anni, che sono storicamente meno rappresentate rispetto alla fascia under 30. Questa è una cosa positiva, perché vuol dire che il mezzo è sempre più percepito come affidabile e competitivo anche da chi ha, in media, più possibilità economiche o esigenze più complesse.

Paolo Beria, direttore laboratorio Traspol del Politecnico di Milano

Liberalizzazione e concentrazione del mercato: in Germania e Francia la prima ha coinciso con la seconda. Ma non in Italia. Come spiega questa specificità?

È una specificità da preservare. Un mercato iperconcentrato raramente è favorevole all’utenza, soprattutto se liberalizzato. In Francia e Germania, Flixbus ha assunto una posizione di grande concentrazione. Però, siccome in parte fa lo stesso lavoro della ferrovia, si argomenta che ci sia comunque concorrenza intermodale. Perciò, anche se l’autobus è concentrato, non è detto che ciò danneggi gli utenti.

Se però si considerasse solo la gomma, sarebbe effettivamente un monopolio.

Certo. Nei paesi dove la ferrovia non esiste, come nei Balcani o in Turchia, un solo operatore su gomma equivarrebbe a un monopolio. Ma nell’Europa centrale, dove esistono ferrovia, trasporto aereo e autobus, anche se una concentrazione degli operatori bus fa salire i prezzi, resta la concorrenza con altri mezzi. In Italia, finora, abbiamo anche una forte concorrenza intramodale, e questo mantiene viva la leva del prezzo.

Come cambia l’utenza

Sul mercato dei collegamenti aeroportuali, li vede come una ‘terra di conquista’ dei player storici o come un’area di sviluppo per nuove imprese?

In Italia convivono entrambi i fenomeni: nuovi operatori su tratte brevi, come Flibco, e servizi aeroportuali “lunghi”, come quelli di Flixbus, che collega due città e ferma anche in aeroporto. Quindi non sono due fenomeni identici, e secondo me esistono entrambi.

Un ultimissimo punto: emergono segnali di crescita dell’utenza sopra i 35 anni. Cosa racconta il rapporto sull’evoluzione del passeggero tipo?

La dinamica nell’ultimo quinquennio è abbastanza chiara: c’è stato un invecchiamento dell’utenza media. Questo può voler dire varie cose. Può voler dire che semplicemente i giovani di ieri sono diventati più grandi e hanno continuato a usare l’autobus, quindi si tratta di una fidelizzazione dell’utenza. Oppure può voler dire che l’autobus ha intercettato nuove fasce d’età, magari anche grazie a un miglioramento dell’offerta, alla maggiore facilità d’acquisto dei biglietti, alla presenza di nuove tratte. Di sicuro c’è una crescita delle fasce d’età sopra i 35 anni, che sono storicamente meno rappresentate rispetto alla fascia under 30. Questa è una cosa positiva, perché vuol dire che il mezzo è sempre più percepito come affidabile e competitivo anche da chi ha, in media, più possibilità economiche o esigenze più complesse.

In primo piano

Retrofleet, ovvero il retrofit per convertire le flotte. E risparmiare

In questi anni, la scorpacciata di fondi messi in tavola dal Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza ha permesso agli operatori di trasporto italiani, da Nord a Sud, di ritrovarsi in tasca milioni e milioni da investire per rinnovare le flotte di autobus urbani, rigorosamente nel nome dell...

Articoli correlati