di Gianluca Celentano

Ricordo la difficoltosa uscita dal deposito di una delle prime microsocietà con cui ho iniziato ad avvicinarmi al mestiere dell’autista di autobus. La sede si trovava in zona Greco a Milano e si affacciava su una strada a senso unico curvilinea, con le auto parcheggiate su entrambi i lati. Era – ahimè – il lontano 1992 quando un padroncino mi disse: “Posso farti fare esperienza, ma non posso ancora assumerti”. Allora funzionava così e dovevi accettare cercando di stringere i tempi dell’apprendimento per conquistare la fiducia del titolare e ottenere un contratto. Oggi per fortuna si è sempre sotto contratto anche durante un affiancamento alla professione.

Mi avevano affidato a un autista anziano anche di età, o almeno a 21 anni lo vedevo così, che si chiamava Marino. La prima cosa che mi disse appena usciti dall’angusta strada è stata: “Gli specchi sono le tue mani”. C’è voluto del tempo per capire cosa ci fosse dentro quella frase anche perché, un conto è la percezione del tatto di una mano, un altro è la fondamentale vista degli specchi.

Quando i giovani rappresentavano una minaccia

L’autobus era un inarrestabile Mercedes 0303 con un volante enorme rispetto al mio fisico d’allora, snello e minuto. L’acceleratore era con un comando a tiranteria che andava dal pedale sino alla pompa in linea dietro nel motore, il cambio era morbido ma con una leva molto lunga; anch’esso con un lungo comando a barra. Un titano quel Mercedes con cui mi esibivo in numerose doppiette ed era anche molto piacevole da guidare con una buona e ampia sterzata. Tagliava abbastanza le curve e di marciapiedi ne ho presi un po’. Marino era di poche parole e forse anche un po’ timoroso di far scuola alle nuove leve, tuttavia era gentile. Ai tempi c’era una certa avversione verso coloro che erano senza esperienza e, rispetto ad oggi, erano molti gli autisti esperti. Pochi padroncini offrivano la possibilità di fare esperienza e il settore era a circolo chiuso. Si guadagnava di più e, con la lira, il valore del denaro collocava gli autisti in una solida classe sociale.

I giovani erano visti come un peso da formare e con il rischio di essere più convenienti degli anziani, per questo motivo ho conosciuto anche colleghi che se potevano ti facevano sbagliare.

Le soste inoperose

La prima uscita con Marino era un servizio scolastico presso un parco naturalistico a sud-est di Milano; tutto sembrava avvincente con il minor traffico di quegli anni. Non sapevo ancora quale domande fare per capire l’itinerario della giornata; anche le domande nascono con l’esperienza, quella che non avevo. A infastidirmi è stata soprattutto l’interminabile sosta di ore mentre Marino aveva raggiunto altri colleghi con i bus e si intratteneva in lunghe chiacchierate. Discorsi un po’ in dialetto milanese con termini che solo chi era del mestiere capiva. Io ero visto come la recluta, magari da tormentare un po’ sapendo che avrei sempre mandato giù con un sorriso. Insomma condizioni non certo favorevoli per presentare il mondo della guida e degli autisti a un nuovo arrivato. Il giorno seguente e quello successivo stesso protocollo e nessun contratto.

Un mestiere non ancora intrigante

Arrivò un giorno che, guidando per rientrare in rimessa, passammo vicino a casa mia e dissi al silenzioso Marino che sarei stato comodo a scendere lì; lui non obiettò, lo salutai e da allora non lo vidi più. Cominciai a perdere simpatia per un mestiere dove sapevi quando iniziavi, ma non quando finivi e dove gli anziani ti prendevano sottogamba ritenendosi superiori perché sapevano mettere le mani nel motore e fare le manovre. Qualcuno per accaparrarsi la simpatia del capo tirava fuori di tasca sua il denaro per fare alcune manutenzioni. I discorsi più ricorrenti erano che, facendo questo mestiere, avrei perso qualsiasi rapporto sociale e non sarei più potuto uscire il sabato sera. Pesante per un 21 enne sentirsi dire ripetutamente queste cose. In quale ambiente ero finito?

L’incaglio fa parte dell’esperienza

Con un altro padroncino provai il primo incaglio vicino alle piscine di Cinisello Balsamo. Allora i Mercedes andavano alla grande e credo che l’autobus fosse ancora uno 0303. Questa volta il titolare mi aveva accordato un compenso e, per fiducia, mandato da solo a fare un servizio piscine. Ai tempi per trovare le strade – chi non lo ricorda? – c’era lo stradario Tuttocittà. Peccato che quando entrai a Cinisello ragionai un po’ troppo da automobilista. Avevo anche il pubblico tutto intorno che però non sentenziava, aspettava forse l’errore cruciale o che almeno ammaccassi qualcosa. Che stress! Mi tremava la gamba della frizione, ma me la sono comunque cavata. L’incaglio fa parte del lavoro e con l’esperienza impari soprattutto a gestire una certa diffidenza verso tutto, comprese le strade sconosciute. Oggi per fortuna non è più così, si è seguiti e comunque più compresi, anche per i canoni maggiori di sicurezza.

Tutela sindacale e pause inoperose

Sono le pause inoperose del noleggio a creare problemi; quelle dove non riesci a riposare se ne hai bisogno.
Magari hai necessità di dormire ma non trovi una località di sosta adeguata e vivi nell’incubo che un vigile bussi sulla porta per cacciarti via. A bordo non riposi benissimo e l’idea di un terminal con delle foresterie (come nelle ferrovie) è ancora un miraggio. Molte volte è più stancante una sosta inoperosa di ore (magari sotto il sole) che la guida stessa. Questo concetto non lo capisce nessuno se non è del mestiere, come non capisce che gli effetti benefici di una giornata di riposo svaniscono con le lunghe attese, anche di un solo giorno in aree non attrezzate. Alcuni padroncini -ancora pochi però – cercano di legare fra loro una continuità di servizi di noleggio giornalieri proprio per non cadere in questa incognita. Questo significa che ci sono giorni dove puoi finire prima altri invece, dove puoi iniziare dopo.

Nel tpl invece, il lavoro è generalmente strutturato su turni interi, diurni, pomeridiani, o notturni; un concetto in realtà che anche il noleggio potrebbe eguagliare migliorando la qualità di vita degli autisti. Ma c’è sempre quello che “si presta a tutto” affossando le legittime richieste di altri. Quindi oltre alle retribuzioni, il nodo non ancora sciolto per tornare a vedere autisti alla guida, è il loro impegno giornaliero in una professione di così alta responsabilità. Diciamolo chiaramente, nel merito qualche controllo sindacale in più non farebbe male, ma il loro feedback tra i conducenti non è fra i più idilliaci e forse qualche domanda bisognerebbe farla anche a loro. Con le norme attuali, se una società non è sindacalizzata – almeno con qualche iscritto – il sindacato potrà intervenire solo in un secondo momento a fronte di una specifica richiesta.

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