INCHIESTA / Transizione e neutralità tecnologica nel tpl: 0,7 milioni di buone ragioni
Emissioni clima-alteranti? I bus hanno un impatto minimo e possono contribuire – e in maniera realmente determinante – nella sfida che ci chiama, tutti, a ‘salvare’ l’ambiente. Anche alla luce dello shift modale previsto dal Piano Nazionale di Riprsa e Resilienza che produrrebbe una riduzione dell’1,7 per cento delle emissioni di gas inquinanti. Abbattere le […]
Emissioni clima-alteranti? I bus hanno un impatto minimo e possono contribuire – e in maniera realmente determinante – nella sfida che ci chiama, tutti, a ‘salvare’ l’ambiente. Anche alla luce dello shift modale previsto dal Piano Nazionale di Riprsa e Resilienza che produrrebbe una riduzione dell’1,7 per cento delle emissioni di gas inquinanti.
Abbattere le emissioni dei gas climalteranti e liberare il pianeta dagli effetti negativi che esse generano è fattibile. Nella ‘lotta’ agli inquinanti gioca un ruolo primario il trasporto pubblico locale: l’impatto ambientale degli autobus è estremamente esiguo, pari allo 0,7 per cento. Inoltre, sarebbero significativi i benefici derivanti dallo shift modale previsto dal Pnrr, ovvero il ‘trasferimento’ del 10 per cento degli spostamenti dai mezzi privati a quelli collettivi. Il processo di transizione energetica però dovrà essere graduale e mirato a integrare le differenti tecnologie disponibili. È questo, in estrema sintesi, ciò che emerge dalla presentazione (22 giugno a Roma) effettuata da Anav sui risultati dello studio «Transizione energetica e neutralità tecnologica nel tpl», condotto da Rina, multinazionale di ispezione, certificazione e consulenza ingegneristica.
L’obiettivo Ue per il 2050
L’Unione Europea mira a diventare climaticamente neutra entro il 2050, con diversi target da centrare in termini di riduzione delle emissioni via via più stringenti nel corso degli anni. E a tal proposito le parole più ricorrenti perché tale obiettivo si concretizzi sono decarbonizzazione e transizione energetica, consistente nel passaggio da un mix energetico incentrato sui combustibili fossili a uno sulle fonti rinnovabili con basse o a zero emissioni di carbonio. È solamente così che sarà possibile arginare l’aumento della temperatura. Secondo i modelli climatici proposti dall’Intergovernmental panel on climate change (Ipcc) emerge comunque che l’innalzamento della ‘colonnina’ non si fermerebbe del tutto, anche se riducessimo fortemente le emissioni di gas serra a partire da questo istante. Nell’ipotesi migliore, infatti, si stima una crescita globale di 1,5-2°. Viceversa, si partirebbe con l’incremento di 1,6° nel breve periodo (2021-2040), 2,4° nel medio (2041-2060) e 4,4° nel lungo (2081-2100).
I doppi benefici dello shift modale
Al settore del trasporto in generale, comprendente dunque navi, aerei, treni e veicoli stradali, corrisponde una fetta del 25 per cento del totale delle emissioni di gas serra. Ma è proprio qui, al suo interno, nel ‘sottoinsieme’ della movimentazione passeggeri su gomma, che si trovano i presupposti per fare il salto di qualità. «Il totale degli autobus in circolazione sul territorio nazionale incide solo per lo 0,7 per cento delle emissioni climalteranti – sottolinea il presidente di Anav, Nicola Biscotti, riprendendo lo studio di Rina -, mentre la sola realizzazione dell’obiettivo di shift modale previsto nel Pnrr, ovvero il trasferimento alla mobilità collettiva del 10 per cento della mobilità privata motorizzata, sarebbe in grado di realizzare un risultato doppio, cioè pari alla riduzione dell’1,7 per cento del totale delle emissioni climalteranti».
D’altronde l’autobus vince sempre il confronto con l’automobile, a prescindere dall’alimentazione di quest’ultima (benzina, ibrida o diesel): le elaborazioni dimostrano che il rilascio di inquinanti (Co2, Nox, Pm10) in rapporto al numero di persone trasportate per la lunghezza dello spostamento è decisamente superiore nei veicoli privati, anche di quattro o cinque volte.
La messa a punto della transizione
L’inserimento nel parco veicolare di mezzi totalmente green, nel breve e medio periodo, è però condizionato da vincoli tecnologici, infrastrutturali, costi di realizzazione, mediamente più alti soprattutto per i veicoli a batteria e idrogeno, e spese di esercizio. Inoltre, lo studio fa emergere le criticità legate alla disponibilità dei veicoli sul mercato: per gli urbani ci sono scarse opzioni ad Lng e, tutt’oggi, idrogeno, un numero modesto per l’ibrido. Buona la rappresentanza di Cng ed elettrico ed elevatissima quella del diesel; per i Classe II invece il gasolio rappresenta, al momento, l’unica possibilità di scelta con un timido spiraglio per il Cng. Tale situazione si ripete, con poche o nulle differenze, alle varie lunghezze (inferiore ai 12 metri, 12 metri e 18 metri), a esclusione della categoria 18 metri extraurbano (Classe II) che risulta praticamente sprovvista di mezzi disponibili.
Il nodo dei costi
Alla luce del quadro attuale, i veicoli di ultima generazione ad alimentazione tradizionale e ibrida possono ancora costituire un’alternativa, accanto alle potenzialità offerte dai biocarburanti ritenuti meritevoli di attente indagini e sperimentazioni. Su tutto grava però l’impennata dei prezzi dell’energia, nella fattispecie metano e corrente elettrica, provocata dall’attuale contesto geopolitico. «Prezzi che oggi – prosegue Biscotti -, anche nello scenario migliore, sono comunque superiori nell’arco di vita utile del veicolo a quelli delle alimentazioni tradizionali, per valori fino al 25 per cento come nel caso dell’autobus elettrico». Un primo ritorno di esperienza presentato dall’elaborato di Rina suggerisce, inoltre, un coefficiente di sostituzione degli autobus a gasolio con quelli ad alimentazione elettrica compreso tra 1 e 2. Un fattore questo che può variare a seconda delle caratteristiche del tracciato, del profilo di missione, della tipologia di mezzo e di altri aspetti ambientali.
La sfida per l’entrata a regime delle nuove tecnologie pulite ha degli altri nodi progettuali e organizzativi, oltre a quelli già citati, che dovranno essere ‘sbrogliati’. Per la ‘nuova’ gestione delle flotte sarà infatti necessario ottimizzare i processi di rifornimento/ricarica così da minimizzare la domanda istantanea richiesta alle reti di fornitura (soprattutto per quelle elettriche); effettuare variazioni del layout dei depositi sulla base della modalità di approvvigionamento dei veicoli; progettare e implementare gli impianti relativamente a norme e procedure di sicurezza al momento non inserite in un contesto normativo completo e standardizzato; formare specificatamente gli operatori di esercizio e di deposito. Lo sforzo organizzativo che ne consegue è difficilmente quantificabile in ottica economica ma impone un impegno non indifferente alle aziende di trasporto pubblico, in particolare nei confronti di quelle che non hanno la possibilità di sfruttare economie di scala.
Cambiamento sì, ma…
Occorre tenere a mente che entro la fine dell’anno dovranno imboccare obbligatoriamente la via della pensione circa 10mila autobus Euro II ed Euro III (cioè il 34 per cento del totale del parco mezzi), per effetto dei vincoli di legge vigenti.
E allora, sulla scorta di numeri, analisi e ragionamenti, a indicare la direzione è sempre il presidente di Anav, Nicola Biscotti: «Un approccio graduale alla transizione energetica, portata avanti anche con tecnologie tradizionali supportate da combustibili a basso impatto carbonico, è dunque la soluzione migliore per aumentare la qualità del servizio e la sua attrattività, indispensabili per stimolare lo shift modale dalla mobilità privata a quella pubblica, coniugando il rispetto delle esigenze di adeguamento degli operatori, delle tecnologie e del settore al requisito della sostenibilità ambientale».