La guida autonoma rappresenta un segmento sempre più attenzionato dai gruppi industriali, nonché un orizzonte centrale per lo sviluppo delle reti di mobilità. Le navette driverless sono state tra i focus del Ces di Las Vegas, a inizio anno. È veramente giunto il momento? Gli interrogativi non mancano: normative e sostenibilità finanziaria (vedi Navya) in primis.

Autonomia strategica

Le tecnologie a supporto della cosiddetta ‘guida autonoma’ già oggi pervadono il settore automotive e di conseguenza il tpl, per quest’ultimo peraltro con peculiarità funzionali intrinseche al servizio che i veicoli svolgono quotidianamente. Infatti tutti i sistemi oggi di serie nelle vetture di ultima generazione, e la relativa complessa sensoristica, non sono altro che il nucleo dal quale si svilupperà il veicolo autonomo del futuro: la larga diffusione di sistemi di ausilio alla guida, motivo per il quale si preferisce declinare la terminologia in ‘guida assistita’, non è altro che quel complesso insieme di sensori ottici ed elettromagnetici o ultrasonici (radar, lidar e sonar) che consentono di informare il conducente sullo stato dell’infrastruttura (la strada) rispetto, ad esempio, a limiti di velocità, posizione di corsie e carreggiata, ostacoli. In determinate condizioni il mezzo può autonomamente ‘prendere il controllo’ con correzioni di traiettoria o con l’intervento del freno in emergenza. In prima sintesi emergono due considerazioni: la guida autonoma è entrata a far parte della nostra esperienza in un processo che vedrà nei prossimi anni una rapida progressione; in secondo luogo emerge una ‘simbiosi’ veicolo – infrastruttura (strada) in un approccio sistemico che oramai è il comune denominatore di ogni tecnologia applicata al tpl anche per il settore gomma.

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È tutta questione di sistema

Basti pensare all’elettrico e ai sistemi di ricarica per i bus, correttamente inquadrati a livello progettuale in un unico prodotto capace di soddisfare i requisiti dettati dal profilo di missione. Per quanto riguarda il tpl, l’elettrico rappresenta il sistema nel sistema: non a caso chi si affaccia sul mercato per flotte di bus a guida autonoma, consolidato il fatto che si tratta di veicoli elettrici a batteria, propone un unico pacchetto costituito da veicoli, dotazioni tecnologiche di terra (via di corsa e centro di controllo) e sistemi di ricarica overnight o opportunity, con lo stato di carica opportunamente monitorato dal robusto sistema di controllo in tempo reale del veicolo.
In questo caso siamo già proiettati ai massimi livelli di automazione, come vedremo di seguito in maniera analitica: questo perché la guida senza conducente apre nuovi orizzonti anche all’esercizio sia per la gestione e la programmazione dei rientri in rimessa sia, in senso più lato e come forse troppo audacemente ipotizzato da alcuni, per la traslazione dei servizi verso la frontiera dell’on-demand in real time. 

Shuttle autonomi nel tpl

Il mercato dei bus a guida autonoma, intesa in senso stretto, offre oggi soluzioni che in prima battuta e dal punto di vista trasportistico risultano assimilabili alla categoria dei minibus: però va considerato un aspetto rilevante, ovvero la possibilità di gestire la domanda non in capacità per singolo vettore ma in frequenza, con indubbi vantaggi in termini di flessibilità rispetto a picchi giornalieri e fasce di morbida. Uscendo quindi dalla logica dell’incidenza dei costi per i turni di guida e dal correlato vantaggio di utilizzare meno mezzi ma più capienti garantendo parità di offerta, ancora una volta i completi automatismi e i software di gestione possono combinare, in modo ottimale e senza vincoli, i turni di servizio con i cicli di ricarica in modo del tutto trasparente rispetto all’utenza. A dire il vero, dati i limiti dell’attuale tecnologia ancora in sviluppo, e soprattutto delle prescrizioni normative e degli iter autorizzativi per la circolazione di mezzi senza conducente, il mercato è orientato a sistemi con shuttle di ridotta capienza su itinerari dedicati e per servizi speciali all’interno di aree confinate quali centri espositivi, grandi complessi ospedalieri, sedimi ferroviari dismessi in aree di pregio.

Il Libro bianco della Commissione europea ‘Roadmap to a Single European Transport Area. Towards a competitive and resource efficient transport system’, del 2011, ha confermato come l’infrastruttura sia alla base dei paradigmi di mobilità: nessun cambiamento nella modalità di trasporto è possibile senza una rete adeguata e un uso intelligente della stessa, concetto quest’ultimo che presuppone che anche le strade debbano diventare uno strumento attivo in grado di interagire con i veicoli che la percorrono.

Novità sì, ma fino a un certo punto

Ma nel segmento del trasporto pubblico locale su gomma innovativi sistemi a guida assistita non sono una novità ed anzi rappresentano, o hanno rappresentato, un’anteprima di quanto potrà essere applicato in un prossimo futuro. Il poco fortunato progetto che diede vita al veicolo Phileas per certi versi è stato precursore dei paradigmi di interazione veicolo – strada, laddove dei marker magnetici posizionati lungo il percorso consentivano al mezzo di mantenere la traiettoria con uno scostamento di pochi millimetri. Non solo, il riconoscimento progressivo di tali magneti poteva determinare con assoluta precisione la posizione del veicolo, dato funzionale al sistema di controllo per adattare la velocità alle condizioni programmate nonché per comandare la frenatura ‘a bersaglio’ per l’esecuzione delle fermate, che avvenivano con un accosto millimetrico alla banchina di fermata. A Bologna gli attuali filobus a guida assistita sono dotati di un sistema ottico (telecamere) che, riconoscendo la via di corsa e i suoi punti singolari, è in grado di gestire l’avvicinamento alle banchine di fermata in maniera ottimale, facilitando l’ingresso dei passeggeri e diminuendo i tempi di sosta.

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Una svolta per la mobilità?

La transizione verso i sistemi a guida autonoma richiede una svolta epocale per i sistemi di mobilità. A titolo di esempio, i segnali stradali saranno immateriali un po’ come già avviene per il segnalamento ferroviario Ertms L2. Lo sviluppo di un sistema così complesso dovrà essere gioco forza graduale, con applicazioni pilota che proprio il settore del tpl può, per sua stessa natura, rendere disponibili. Proprio il tpl si caratterizza infatti per l’indissolubile legame tra veicolo e linea dove, lo abbiamo detto, sempre è più necessario un approccio sistemico. Anche perché il solo veicolo, o la sola flotta, non sono sufficienti a garantire la guida autonoma, ma lo è l’insieme tecnologico veicolo – infrastruttura: da questo punto di vista il mercato offre prodotti identificati sia come livello 4 che a livello 5, ricordando che il livello 4 richiede comunque la presenza di un operatore.

Dal punto di vista normativo i singoli stati si stanno attrezzando con l’emanazione di regolamenti e la concessione di autorizzazioni alla sperimentazione, in attesa e nell’auspicio che possa essere definito uno standard a livello europeo. In Italia il decreto Smart road (Decreto Ministeriale previsto per l’attuazione dell’articolo 1, comma 72, della legge 27 dicembre 2017, n. 205) autorizza la sperimentazione di veicoli a ‘guida automatica’ fissando le linee guida per l’ottenimento delle autorizzazioni e disciplinando lo svolgimento delle prove. Sulla scia di questa opportunità anche nel nostro paese è aumentata l’attenzione verso questa tecnologia proprio da parte del settore del tpl con la sperimentazione attuata a Torino e con l’iniziativa del comune di Imperia che ha progettato l’impiego di shuttle a guida autonoma su una via di corsa dedicata e collocata all’interno della più ampia iniziativa di realizzazione della pista ciclopedonale in costruzione sul sedime lasciato della linea ferroviaria a mare e spostata a monte. Le potenzialità di mercato di queste tecnologie spingono sempre più le realtà industriali a investire nello sviluppo di prodotti e soluzioni. La stessa Unione europea ha deciso di investire nel settore sia in termini di ricerca e sviluppo che per finanziare progetti applicativi, declinati in Italia anche nell’ambito del Pnrr.

La scala dell’autonomia

Ma cosa si intende quindi per guida autonoma? Secondo gli standard della Sae (Society of automotive engineers) i livelli di classificazione sono cinque. Il livello 0 corrisponde a nessun grado di automazione, mentre i livelli 1 e 2 identificano con una progressione tecnologica e funzionale la già menzionata ‘guida assistita’, ove il conducente mantiene il pieno controllo del veicolo e l’interazione con l’infrastruttura è un elemento solo di supporto ma non essenziale. Il livello 3 rappresenta invece la vera transizione verso la guida autonoma: il mezzo si può sostituire, in determinate condizioni, al guidatore. È a questo livello che avviene il salto di qualità della strada che deve essere infrastrutturata per assicurare l’interazione permanente con il veicolo (comunicazione V2i, Vehicle to infrastructure) anche in una logica end-to-end comunicativa, da garantire mediante la copertura con reti mobili veloci e adeguate (5G). È però il livello 4 quello della connessione globale dove i veicoli non sono collegati solo all’infrastruttura stradale (V2i) ma all’intera rete (V2v, Vehicle to vehicle): il mezzo è in grado di circolare autonomamente ma il conducente è ancora richiesto nel caso in cui il sistema di bordo non riesca a interpretare l’ambiente che lo circonda, ovvero venga meno la comunicazione V2i, V2v nonché V2x (Vehicle to ‘everything else’, vale a dire ciclisti, pedoni ma anche tram e treni nel caso siano previste intersezioni a raso). Al livello 5 si ha la completa automazione: il veicolo non ha comandi di guida e quindi non è più richiesto alcun operatore: il mezzo è completamente connesso in maniera resiliente con l’infrastruttura e l’IoT senza rilevanti margini di fallimento, grazie a robusti elementi di ridondanza. Diverse soluzioni richiedono la mappatura accurata dell’ambiente attraversato dal veicolo. Il sistema deve essere, quindi, sempre in grado di accedere alla mappa, localizzarsi rispetto alla strada e all’ambiente che lo circonda. Per questo la complessa strumentazione di bordo prevede non solo la sensoristica radar, lidar e sonar, ma anche telecamere destinate a ottenere la geometria della traiettoria sfruttando tecniche di intelligenza artificiale. La localizzazione satellitare (Gps o Galileo) viene utilizzata a supporto della navigazione del veicolo tenuto conto che la stessa non è sufficiente, sia per motivi di precisione (che degrada in ambito urbano) che per copertura, come ad esempio nei percorsi che prevedano la presenza di gallerie.

di Riccardo Genova, dal numero di Autobus di febbraio 2023

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