di Gianluca Celentano (conducente bus)

Venerdì 8 novembre è il giorno dello sciopero del trasporto pubblico in tutta Italia. Solo una ridottissima percentuale di mezzi – teoricamente il 30% – sarà garantita, con fasce orarie di servizio minimo variabili in base alle città. È una mobilitazione che non si vedeva dal lontano 2005, e i sindacati sembrano decisi a seguire una linea d’azione chiara, sebbene non si possa ignorare una certa rassegnazione tra i lavoratori.

Uno sciopero preoccupato

Vivendo e lavorando a Milano, alle prime ore del mattino mi dirigo verso il deposito ATM di Palmanova. Ciò che mi colpisce non è solo la temperatura fredda del mattino, ma l’atmosfera insolitamente silenziosa tra i colleghi. Un tempo, le ragioni delle proteste venivano discusse animatamente; oggi, prevale un’indifferenza quasi rassegnata. Probabilmente esisterà una direttiva interna che invita a evitare dichiarazioni alla stampa.

Un sindacalista mi confida che la passione e la determinazione che un tempo animavano queste iniziative sembrano ormai svanite: quella verve distintiva della categoria appare sbiadita. I numeri, d’altronde, parlano chiaro: ogni mese circa 30 autisti, per lo più giovani, qui a Milano lasciano l’azienda, segnando un dato che suona come un vero allarme, aprendo molti interrogativi. Alcuni attribuiscono queste dimissioni a un eccesso di rigidità disciplinare, una caratteristica che un tempo si sviluppava con il servizio di leva; altri puntano il dito sulle condizioni di insicurezza e sopraffazione che subiscono i conducenti, a Milano come un po’ ovunque in tutta Italia.

La parola d’ordine: ristrutturazione

L’ambiente degli autisti è spesso dispersivo e poco gratificante, anche per chi si occupa di raccontarne le sfide e le necessità. Tuttavia, c’è chi conserva una visione più dinamica e comprende l’importanza del confronto (anche alla luce dei principi costituzionali), portando avanti il proprio punto di vista. In una conversazione con Antonio Albrizio, segretario della UIL Trasporti, emerge una riflessione condivisa: il cambiamento radicale è avvenuto in modo trasversale in molte grandi realtà lavorative, probabilmente spinto da una globalizzazione sfuggita di mano, che ha creato forti penalizzazioni per molti e vantaggi solo per pochi.

I cittadini che appoggiano gli autisti

Può sembrare obiettivamente strano vedere gli stessi cittadini che abitano i quartieri periferici così solidali con gli autisti. Tuttavia, c’è una comprensione reciproca delle difficoltà che accomuna chi lavora. Molti, in particolare a via Padova, hanno accettato senza riserve la riduzione del numero di vetture e lo sciopero dei colleghi, riconoscendo che le preoccupazioni degli autisti sono, in fondo, quelle di chiunque oggi sia costretto a confrontarsi con le difficoltà (e i ricatti) del mondo del lavoro.

Uno degli esercizi più difficili che ricordo e che ho sempre cercato di mettere in pratica è l’indifferenza verso le provocazioni dei passeggeri. Quando da giovanissimo ho iniziato a percorrere i primi chilometri nel trasporto pubblico locale, le grandi aziende come quella per cui lavoravo seguivano un iter formativo senza fretta, gestito principalmente da ex autisti trasferiti, per vari motivi, dalla guida dei bus all’amministrazione. Erano altri tempi, e il fatto che fosse un autista a formarti sulle astuzie e sui segreti del mestiere aveva un valore concreto. Non che un impiegato senza esperienza di guida fosse meno competente, ma alcuni aspetti del lavoro, per forza di cose, non poteva comprenderli a fondo. È un dato di fatto.

Poi le aziende hanno iniziato a cambiare e, in molte realtà, la gestione dei conducenti è stata affidata a personale proveniente da specializzazioni lontane dal mondo della guida. Gli autisti se ne sono accorti, e questo ha contribuito a creare il divario tra aziende e autisti che si percepisce ancor oggi. Nel frattempo anche la cultura dei conducenti ha cominciato a elevarsi osservando tutto più chiaramente.

Ricordo bene la formazione di 29 anni fa: questo simpatico formatore, un autista brillante di mezza età con un’ottima dialettica, ci riassumeva tutto ciò che poteva accadere durante un turno di lavoro. Tempi ormai lontano dove, le aggressioni fisiche erano molto limitate o addirittura assenti, a meno che non te le cercassi. Devo dire che oggi la situazione sulla strada è cambiata parecchio come il rapporto fra conducenti e aziende.

In merito alle provocazioni dei passeggeri, spesso solidali tra loro nel bersagliare l’autista con “carinerie”, il responsabile della formazione — che aveva fatto una bella carriera — ci diceva molto chiaramente: “Non ce l’hanno con voi, ma con l’azienda. State tranquilli, non li incontrerete più.” Io adottavo molta psicologia e devo dire che non ho mai avuto grandi problemi, sebbene percepissi la bassissima considerazione verso chi svolgeva il lavoro dell’autista. Questo mi dava più fastidio di una parolaccia.

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