Gare di servizio, modelli di business, transizione: la strategia di RATP Dev Italia illustrata da Federico Tonetti
Abbiamo intervistato Federico Tonetti, Presidente di RATP Dev Italia e di Autolinee Toscane da luglio 2024, che illustra le priorità strategiche del gruppo e le condizioni necessarie per sostenere investimenti, innovazione e qualità del servizio. Intanto RATP Dev Italia si sta strutturando come holding operativa, rafforzando le funzioni di sviluppo in vista della progressiva apertura del mercato. Un riposizionamento che passa anche dalle associazioni di categoria, con l’uscita da Anav a fine 2025 e l’ingresso in Agens dal 1° gennaio 2026.
RATP Dev Italia si struttura come holding operativa, rafforzando le funzioni di sviluppo in vista della progressiva apertura del mercato. Un riposizionamento che passa anche dalle associazioni di categoria, con l’uscita da Anav a fine 2025 e l’ingresso in Agens dal 1° gennaio 2026. Sullo sfondo, le attese per le gare di servizio, con un focus sul Centro-Nord e uno sguardo all’evoluzione dei modelli di business: dalla leva tariffaria legata agli investimenti al Transport as a Service, dall’apertura a investitori e al project financing fino al ruolo del retrofit nella transizione.
Abbiamo intervistato Federico Tonetti, Presidente di RATP Dev Italia e di ‘autolinee toscane’ da luglio 2024, che illustra le priorità strategiche del gruppo e le condizioni necessarie per sostenere investimenti, innovazione e qualità del servizio nel trasporto pubblico locale.
Tonetti vanta un’esperienza professionale di 27 anni, di cui oltre 20 all’estero, maturata in ruoli manageriali in gruppi multinazionali attivi in diversi settori, oltre a un periodo di consulenza strategica in Bain & Company. È laureato in Economia Aziendale all’Università Bocconi e ha conseguito un MBA internazionale presso l’Instituto de Empresa di Madrid.
O il settore mette in campo forme vere di collaborazione pubblico-privato, oppure così com’è non va lontano. I privati portano capacità di industrializzazione, ottimizzazione dei processi, risorse, e anche partner finanziari: lo vediamo nei project financing che facciamo nel mondo. E lo dico rappresentando un’azienda che ha un azionista pubblico
Federico Tonetti, Presidente di RATP Dev Italia e di ‘autolinee toscane’

Federico Tonetti e la struttura di RATP Dev Italia
Dopo un anno abbondante da Presidente di RATP Dev Italia e tre anni nel gruppo, quali lezioni ha maturato e in che modo le competenze e strumenti acquisite nelle sue precedenti esperienze stanno contribuendo all’evoluzione di RATP Dev in Italia?
Sono arrivato nel 2022 in RATP Dev dopo 23 anni all’estero, con esperienze in Paesi e settori diversi, con competenze diverse da quasi tutti quelli con cui ho lavorato, a Londra e in Italia. In Italia ho trovato un’azienda che gestiva tre contratti — at, GEST e Cilia — ma di fatto c’erano il presidente e un direttore finanziario e amministrativo, e tutte le funzioni principali erano concentrate in ‘autolinee toscane’. ‘Autolinee toscane’ stessa era stanca e provata, con ferite aperte, dopo 5 anni di contenzioso e tre di battaglia per far uscire il servizio. E alla partenza, sforzi sovrumani per reggere l’operativo, a partire dalla carenza di autisti, che abbiamo affrontato e risolto assumendone quasi 1.500 negli ultimi tre anni grazie a ingenti investimenti nella nostra Accademia, la prima in Italia di questa portata. Infine, con il rinnovo autobus quasi completamente sospeso fino al nostro ingresso, mentre oggi l’età media della flotta è già passata da 14 a 10 anni e stiamo navigando verso il traguardo dei 7 anni. E soprattutto un’azienda impegnata da tempo, tanto, a discutere con la Regione Toscana un contratto nato nel 2013-2014: obsoleto, pensato in un contesto normativo diverso, con inflazione allo 0%. Un contratto pre-Covid: per come il Covid ha cambiato mobilità e domanda, il paleolitico dal punto di vista dei trasporti. Io sono arrivato e ho trovato questa situazione. La gestione del contratto con la Regione è stata la mia attività principale dall’insediamento a presidente nel luglio 2024 a febbraio di quest’anno.
E poi?
A febbraio di quest’anno finalmente abbiamo trovato un accordo su revisioni triennali del contratto, la prossima è prevista nel 2027, ispirandoci ai criteri dell’ART. Per me l’esperienza vera in RATP Dev Italia inizia a marzo 2025.
Oggi RATP Dev Italia come è strutturata? E come evolverà?
Mi sono concentrato su due cose. La prima: rinvigorire ‘autolinee toscane’ nel management, nell’organizzazione e nei processi industriali. Questo è personificato dall’arrivo di Franco Middei come nuovo amministratore delegato a luglio 2025, dopo 28 anni di ATAC. In parallelo ho iniziato a strutturare RATP Dev Italia per farla diventare una vera holding operativa. Oggi siamo in 17, rispetto ai 2 che eravamo l’anno scorso. Oltre al CFO, abbiamo inserito ruoli chiave: direttore giuridico e affari istituzionali; funzioni come direttore bus operations e direttore rail operations. E abbiamo rilanciato quello che, di fatto, per RATP Dev Italia è l’equivalente dell’esercizio: lo sviluppo. Ora abbiamo un direttore sviluppo, un direttore strategico e un direttore gare. L’obiettivo è quello di verificare se tutto il fermento a cui assistiamo negli ultimi tempi si tradurrà in qualcosa di reale fuori dalla Toscana.
Insomma, Autolinee Toscane guarda al 2033 e RATP Dev Italia si posiziona sul mercato…
Sì, abbiamo messo in piedi le due cose in parallelo: ‘autolinee toscane’ lavora in prospettiva del 2033, anno di fine concessione in Toscana; e RATP Dev Italia ha iniziato a essere molto attiva sul mercato, dandosi priorità di sviluppo e crescita in Italia, perché siamo qui per restare, dopo aver investito così tanto.
Una leva sulle tariffe deve essere concessa, a fronte di investimenti e obiettivi misurabili. Tipo: età media autobus che deve scendere a X dopo Y anni. Elettrificazione che deve andare oltre l’effetto PNRR. Il PNRR è stato uno degli esempi migliori di utilizzo dei fondi, ma in Italia abbiamo 42.500 autobus tpl e ne abbiamo elettrificati il 7%. È poco, considerando che il tpl è un volano della transizione energetica. A fronte di investimenti in elettrificazione e in tecnologia, e di un servizio che magari è un po’ meno capillare in alcune zone, dove si possono introdurre servizi a chiamata, ma che deve essere puntuale, bisogna rompere il tabù delle tariffe introducendo una flessibilità sotto controllo pubblico, giustificata dagli investimenti fatti.
Federico Tonetti, Presidente di RATP Dev Italia e di ‘autolinee toscane’
RATP Dev Italia: dal 1 gennaio in Agens. E prepara le gare…
Rimanendo sul posizionamento: come vi collocate in termini di adesione ad associazioni di categoria?
Storicamente, con ‘autolinee toscane’, eravamo in Anav. È evidente però che, per dimensioni operative e volumi, siamo fuori scala rispetto alla media degli associati Anav, e questo rende l’equazione insostenibile. Abbiamo quindi annunciato ad Anav l’uscita al 31 dicembre di quest’anno come ‘autolinee toscane’. Dal primo gennaio 2026 entreremo, come RATP Dev Italia, in Agens. Entriamo con la stessa logica con cui approcciamo lo sviluppo: contribuire a trasformare il settore e dargli una prospettiva.
Il Regolamento 1370 ha 18 anni. E guardando ancora più indietro, il “Decreto Burlando” è del 1997… due strumenti che avrebbero dovuto aprire la stagione delle gare. Il 2026, secondo molti, dovrebbe rappresentare l’anno della svolta. È davvero così, o dobbiamo aspettarci l’ennesimo ripensamento?
Può essere il 2026, ma presumo anche 2027-2028. Però gli elementi che abbiamo ci lasciano pensare che il momento sia arrivato. Noi, per darci delle priorità, ci concentreremo sul centro-nord. Intendiamo naturalmente gomma ma anche tram, dove vediamo molto movimento.
Una svolta epocale…
Prendiamo l’esempio del Fondo Nazionale Trasporti, che continua ad essere pesantemente e strutturalmente in deficit, segno che il trasporto pubblico locale non è più una priorità per la politica italiana indipendentemente dal suo colore. Oppure guardiamo quello che sta avvenendo sul rinnovo del CCNL e sull’accordo firmato per garantirne la copertura nella legge di bilancio, l’andamento di varie aziende municipalizzate e il livello di servizio offerto, o ancora il fatto che l’Art (Autorità di regolazione dei trasporti, ndr) sottoponga a verifica le richieste di in-house che le vengono presentate. Collegando tutti questi aspetti, dico che il settore o mette in campo forme vere di collaborazione pubblico-privato, oppure così com’è non va lontano. I privati portano capacità di industrializzazione, ottimizzazione dei processi, risorse, e anche partner finanziari: lo vediamo nei project financing che facciamo nel mondo. E lo dico rappresentando un’azienda che ha un azionista pubblico. È una visione che condividiamo con altri soci Agens.

La collaborazione pubblico-privato può assumere molteplici sfumature. Se dovesse indicare qualche modello, già esistente o replicabile in Italia, quali citerebbe?
Citerei due elementi. Il primo modello è quello in cui l’operatore ha un’autorità dei trasporti come interlocutore. A Londra c’è Transport for London, TfL: competenza tecnica altissima e una comprensione molto chiara di un principio fondamentale, cioè che se apri il settore ai privati non puoi farli entrare senza accettare il principio che il privato deve avere un margine positivo a fronte degli investimenti fatti. Il secondo elemento è un contesto normativo coerente con il primo punto, che riconosca cioè un ragionevole margine di utile, o un tasso di ritorno sugli investimenti, e se il piano economico finanziario non ci arriva devi parlare di riequilibrio: qui entra in gioco l’Art. Questi sono i due concetti: un’autorità dei trasporti preparata con visione di sistema, e un quadro che consenta al privato di avere un ritorno.
Storicamente, con ‘autolinee toscane’, eravamo in Anav. È evidente però che, per dimensioni operative e volumi, siamo fuori scala rispetto alla media degli associati Anav, e questo rende l’equazione insostenibile. Abbiamo quindi annunciato ad Anav l’uscita al 31 dicembre di quest’anno come ‘autolinee toscane’. Dal primo gennaio 2026 entreremo, come RATP Dev Italia, in Agens. Entriamo con la stessa logica con cui approcciamo lo sviluppo: contribuire a trasformare il settore e dargli una prospettiva.
Federico Tonetti, Presidente di RATP Dev Italia e di ‘autolinee toscane’
L’apertura del mercato tra project financing e modelli di business
Ha menzionato il project financing: è davvero uno strumento per rafforzare il settore una volta aperto o rischia di diventare un freno alle gare di servizio? Vi sono casi in cui lo strumento viene adottato con effetti sulla durata degli affidamenti.
Il project financing non può avere un ruolo strumentale. In alcuni casi anche le richieste di in-house sono strumentali, politicamente: poi infatti l’Art chiede approfondimenti. Il project financing non è la soluzione a tutti i mali: dipende da come viene fatto. Per funzionare servono tre elementi. Credibilità e solidità dei partner, un solido piano industriale, la qualità del progetto. Sono cose banali, ma se mancano, il project financing nasce zoppo o diventa strumentale. Nel mondo — Sydney, Singapore, Johannesburg e altri contesti — RATP Dev lavora tenendo insieme questi tre elementi. In Italia stiamo cercando di diventare un pivot, un volano, per mettere insieme project financing di questo tipo: siamo agli inizi, ma stiamo lavorando.
Tema redditività: in quali condizioni (di governance e business model) il tpl italiano può garantire attrattività? Esiste un potenziale ancora inesplorato in un settore tradizionalmente percepito come a bassa redditività?
La prima condizione è avere una leva ricavi: le tariffe. Se fai entrare un operatore privato nel settore, per esempio, e gli consegni un asset industriale dicendo “le tariffe però le decido io”, e per 10 anni non le tocchi, è chiaro che poi ti ritrovi un impatto negativo sul livello di servizio. Una leva sulle tariffe deve essere concessa, a fronte di investimenti e obiettivi misurabili. Tipo: età media autobus che deve scendere a X dopo Y anni. Elettrificazione che deve andare oltre l’effetto PNRR. Il PNRR è stato uno degli esempi migliori di utilizzo dei fondi, ma in Italia abbiamo 42.500 autobus tpl e ne abbiamo elettrificati il 7%. È poco, considerando che il tpl è un volano della transizione energetica. A fronte di investimenti in elettrificazione e in tecnologia, e di un servizio che magari è un po’ meno capillare in alcune zone, dove si possono introdurre servizi a chiamata, ma che deve essere puntuale, bisogna rompere il tabù delle tariffe introducendo una flessibilità sotto controllo pubblico, giustificata dagli investimenti fatti.
Considerando le due principali modalità di gestione del trasporto pubblico locale, Gross cost e Net cost, quali criteri guidano oggi la vostra decisione di partecipare a una gara con un modello o l’altro? Quale considerate più efficace per affrontare le sfide attuali del settore? Shift modale in primis…
Credo fermamente che il modello net cost sia più motivante: ti spinge a migliorare il servizio, ti spinge ad aumentare le persone che prendono l’autobus invece dell’auto privata. Nonostante il fatto che il Gross Cost possa essere preferito perché riduce i rischi per l’operatore, se a quest’ultimo viene data la possibilità, a fronte degli investimenti fatti, di lavorare sulle tariffe (pur rimanendo sotto controllo pubblico), il net cost diventa un modello virtuoso, che noi sappiamo fare, come abbiamo dimostrato in Toscana.
Appunto, spesso si dimentica che l’obiettivo non è far quadrare i conti delle aziende, ma muovere lo shift modale.
Esatto, però occorre dare le leve: non puoi fare una gara in net cost in cui le tariffe sono decise per dieci anni. In quel caso piuttosto vai sul gross cost. In ogni caso, il contract management è fondamentale, e intendo la gestione del contratto alla nascita, insieme al concedente. Non si può essere obbligati o essere messi nelle condizioni di firmare un contratto perché è così che deve essere. Net o gross cost cambia, certo, e a noi vanno bene entrambi, ma attenzione alla corretta gestione del contratto secondo quanto dice l’Art.
Pensiamo che i contratti tpl debbano aprire spazi a meccanismi nuovi, complementari a quelli esistenti. Un esempio è il Transport as a Service, dove l’azienda di trasporto paga un canone, una fee chilometrica, a un fornitore che è proprietario dei mezzi elettrici e delle infrastrutture nei depositi. Questo abbatte l’investimento e riduce le barriere all’ingresso in gara. Riteniamo opportuno che soluzioni innovative di questo tipo vengano inserite nei contratti, prevedendo il TaaS come terza opzione, in aggiunta alla proprietà degli asset e al leasing. A differenza di queste due modalità, il Transport as a Service figurerebbe nei bilanci come Opex e non come Capex.
Federico Tonetti, Presidente di RATP Dev Italia e di ‘autolinee toscane’
Ridisegnare i sistemi di mobilità, oltre l’autobus
Si aspetta che nei capitolati possa essere prevista una premialità per le aziende che incentivano l’utilizzo del trasporto pubblico anche attraverso sistemi innovativi, come per esempio i servizi a chiamata?
Assolutamente sì. Noi li facciamo già in Toscana, in alcuni casi, ancora troppo poco. Io non vorrei vedere autobus che girano vuoti: se questo è il concetto di servizio pubblico, mi spiace, lo lascio ad altri. Lo shift culturale è qui: o vuoi un trasporto pubblico gestito da aziende pubbliche e accetti autobus vuoti, livelli medi, perdite da ripianare (con tutte le eccezioni e le eccellenze), oppure fornisci agli operatori libertà di innovare: è sempre servizio pubblico, ma disegnato sui bisogni di oggi e con le tecnologie di oggi, e si può fare mantenendo sostanzialmente inalterati i livelli occupazionali. A me interessa la percentuale di persone che usa il mezzo pubblico rispetto al mezzo privato.

Se dovesse scrivere su un foglio bianco la vostra visione, includendo servizi a chiamata, sharing, intermodalità, e anche guida autonoma… come si tiene insieme tutto?
La guida autonoma arriverà, non so quando. Ma il punto è: per far girare un autobus a guida autonoma serve dargli corsie preferenziali. Se siamo in grado di fare questo, la guida autonoma arriva anche prima. In ogni caso, pensando al foglio bianco, l’esempio che ho in mente è Firenze. Da due o tre mesi ci siamo seduti al tavolo per ripensare globalmente il sistema di trasporto in città e nell’area metropolitana: dentro c’è car sharing, bike sharing, tram, autobus, taxi tutti i mezzi alternativi all’auto privata. Sul foglio bianco quindi scriverei: dare la possibilità all’operatore di sedersi con l’amministrazione locale e ridisegniamo il sistema: parcheggi, accesso alle ZTL, corsie preferenziali. Perché è un sistema. Tutto si riassume in una parola: intermodalità. Non lo fa da solo l’operatore bus. Bisogna sedersi insieme e ridefinire la mobilità. Questo è il mantra. Con Firenze lo stiamo facendo e vorremmo farlo con tutti quelli che ci stanno.
Abbiamo acquistato 30 veicoli retrofittati e li abbiamo messi sull’extraurbano. Se non ci proviamo noi, chi lo fa? Li stiamo testando. L’opportunità che vedo è quella di avere un mezzo elettrico con tempi di consegna da quattro a sei settimane, ad un costo che è un terzo della migliore offerta di qualunque produttore di elettrico extra europeo. Secondo me vale la pena provare.
Federico Tonetti, Presidente di RATP Dev Italia e di ‘autolinee toscane’
Il Transport as a service come modello per la transizione?
Dopo il PNRR (che ha contribuito in maniera sostanziale alla riduzione dell’età media del circolante), l’abbrivio nell’ammodernamento e nella transizione delle flotte dato dai fondi europei rischia di essere vano? Quali modelli di governance o di business model possono consentire di proseguire su questa strada?
Noi lo abbiamo fatto: a settembre abbiamo lanciato un esperimento con 30 bus retrofittati sull’extraurbano in Toscana. Parliamo di modelli di business. Il primo prevede che l’operatore porti soci finanziatori e ‘impacchetti’ un progetto che può includere i depositi e le infrastrutture, e quindi avere una componente real estate.
Quindi investitori.
Esatto. Il privato non è la gallina dalle uova d’oro…
Però il contratto di servizio del tpl è rigidissimo: autobus come asset pubblico, proprietà pubblica…
È proprio questo il tema del contract management: il contratto deve aprire spazi a meccanismi nuovi, complementari a quelli esistenti. La seconda via, complementare, che vorrei menzionare è il Transport as a Service, dove l’azienda di trasporto paga un canone, una fee chilometrica, a un fornitore che è proprietario dei mezzi elettrici e delle infrastrutture nei depositi. Così l’operatore non deve mettere centinaia di milioni su asset fisici: paga un servizio. Esistono già operatori che offrono anche energia elettrica, quindi pacchetto completo passivo. Questo abbatte l’investimento e riduce le barriere all’ingresso in gara. Riteniamo opportuno che soluzioni innovative di questo tipo vengano inserite nei contratti, prevedendo il TaaS come terza opzione, in aggiunta alla proprietà degli asset e al leasing. A differenza di queste due modalità, il Transport as a Service figurerebbe nei bilanci come Opex e non come Capex.
Inserendo una terza parte che deve trarre logicamente un ritorno economico, non si rischia di far crescere il costo per il pubblico?
Sì, ci sono extracosti nel sistema. L’operatore non prende margine aggiuntivo, perché fa spazio al fornitore, e c’è un extracosto per l’amministrazione. Ma l’extracosto deriva da una realtà: far girare autobus elettrici e gestirne l’infrastruttura di ricarica costa complessivamente di più rispetto al diesel. La domanda però non è se costa di più o di meno. La domanda è: vogliamo elettrificare o no? In una recente proposta che abbiamo fatto alla Regione Toscana, l’extra costo del Taas (Transport as a service), sarebbe significativamente inferiore rispetto all’acquisto ed esercizio di bus elettrici di proprietà secondo i parametri contrattuali, per quanto sempre un po’ più caro del diesel.
Dicevate, avete avviato un test con bus retrofittati all’elettrico. Che evoluzione vi aspettate per questa fattispecie, anche considerando che oggi i fondi mancano?
Abbiamo acquistato 30 veicoli retrofittati e li abbiamo messi sull’extraurbano. Se non ci proviamo noi, chi lo fa? Li stiamo testando. L’opportunità che vedo è quella di avere un mezzo elettrico con tempi di consegna da quattro a sei settimane, ad un costo che è un terzo della migliore offerta di qualunque produttore di elettrico extra europeo. Secondo me vale la pena provare.
La domanda è: vogliamo elettrificare o no? In una recente proposta che abbiamo fatto alla Regione Toscana, l’extra costo del Taas (Transport as a service), sarebbe significativamente inferiore rispetto all’acquisto ed esercizio di bus elettrici di proprietà secondo i parametri contrattuali, per quanto sempre un po’ più caro del diesel.
Federico Tonetti, Presidente di RATP Dev Italia e di ‘autolinee toscane’
Sullo sfondo, resta un tema di base: la carenza di autisti.
Quando siamo partiti nel 2021, ne mancavano 300 in tutta la Toscana, di cui 100 solo a Firenze. Un disastro. In 4 anni, grazie anche all’Accademia, abbiamo tamponato il problema. Ma l’Accademia ha costi altissimi, e la carenza resta, perché il vero tema non è la mancanza strutturale di autisti, ma la necessità di rendere quello dell’autista un lavoro motivante, recuperando almeno in parte il senso di appartenenza di una volta. Questo punto essenziale, insieme al caso del Fondo Nazionale del TPL, dimostra che senza una chiara strategia di medio-lungo termine, che veda pubblico e privato insieme, il settore rischia di restare al palo.
