Retrofleet, ovvero il retrofit per convertire le flotte. E risparmiare
In questi anni, la scorpacciata di fondi messi in tavola dal Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza ha permesso agli operatori di trasporto italiani, da Nord a Sud, di ritrovarsi in tasca milioni e milioni da investire per rinnovare le flotte di autobus urbani, rigorosamente nel nome delle zero emissioni. E così, in questo lustro post-Covid, le nostre […]

In questi anni, la scorpacciata di fondi messi in tavola dal Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza ha permesso agli operatori di trasporto italiani, da Nord a Sud, di ritrovarsi in tasca milioni e milioni da investire per rinnovare le flotte di autobus urbani, rigorosamente nel nome delle zero emissioni. E così, in questo lustro post-Covid, le nostre città sono state invase da e-bus. Ma la potenza di fuoco del Pnrr sta andando ad esaurirsi, la scadenza fissata al 30 giugno 2026 si avvicina e, allora, si rende ulteriormente necessario pensare a soluzioni per ammodernare i parchi mezzi anche in autofinanziamento, tagliando le emissioni non solo allo scarico, bensì nell’intero ciclo di vita del prodotto.
In questa cornice, c’è chi da tempo – in Francia e ora anche in Italia – si è portato avanti col lavoro, cavalcando le opportunità del retrofit, ovvero la conversione del motore da termico a elettrico. Questo “chi” ha un nome: Retrofleet. Ma procediamo con calma…
Dicevamo della Francia perché il gruppo transalpino CBM, di cui Andrea Chiocchetti è presidente, a inizio 2024 ha acquisito la società Retrofleet (con sede a Chambery), che al momento è l’unico player ad aver ottenuto l’omologazione europea per il retrofit e ad aver retrofittato veicoli. Sull’onda di questa esperienza, la filiale italiana di CBM Company, ovvero la VAR di Grugliasco (Torino) ha pressoché portato a termine l’iter per l’ottenimento della conversione in Italia della suddetta omologazione: una realtà che il 18 giugno inaugurerà il sito da 6.500 metri quadri per la conversione e l’assemblaggio delle batterie e che si è già messa in pancia la commessa one shot più importante in Europa, quella di Autolinee Toscane (filiale di Ratp Dev Italia) per 32 veicoli.
L’operatore e la stessa regione Toscana, infatti, hanno creduto nell’opportunità: nel caso specifico, come sottolineato dal presidente di Ratp Italia, Federico Tonetti, giusto per darvi qualche numero, la conversione permetterà di tagliare dell’87% le polveri sottili PM10 e di risparmiare l’emissione annua di 2.800 tonnellate di CO2, ovvero l’equivalente del peso di quattro treni ad alta velocità.
Perché e per cosa scegliere il retrofit
«Si parla tanto di conversione delle flotte, ma perché non parlare anche, per non dire soprattutto, di conversione dei motori? In Francia, Retrofleet ha già immesso in circolazione 120 veicoli che a oggi hanno macinato circa 5 milioni di chilometri, e abbiamo un portafoglio ordini per altri 240 pezzi da retrofittare. Vista l’età media del parco mezzi in Italia, era un peccato non entrare nel mercato italiano: il primo ordine in Italia per Autolinee Toscane è solo l’inizio!», ci racconta Chiocchetti, spiegandoci anche come il core business dell’azienda sia, al momento, per ovvie ragioni di mercato, il Classe II e nello specifico due particolari modelli: «Il metodo di conversione è identico per qualsiasi autobus, che sia urbano, di linea o turistico, ma in Europa circa l’80% degli intercity sono Crossway e Intouro ed è in questo segmento che abbiamo deciso di entrare. In futuro, chissà…».
Ecco, Retrofleet al momento ha in mano l’omologazione per retrofittare i Crossway diesel e a gas Euro 6 Normal Floor (con motore Cursor e Tector) e gli Intouro Euro 6, ma tendenzialmente a fine 2025 anche i Crossway Normal Floor Cursor Euro 5 e EEV, e a primavera inoltrata del 2026 pure i Crossway LE a gasolio e gas Euro 6 arriveranno ad ottenere il via libera per la loro conversione. Il motivo è semplice: ce ne sono tantissimi alle nostre coordinate geografiche. Ma non è escluso, anzi, che in futuro ci siano progetti anche per citybus a gas.

Il costo e il risparmio
La domanda sorge spontanea: quanto costa il processo di retrofit? La metà, o meglio, come specifica Chiocchetti, «poco meno della metà del medesimo modello nuovo a trazione elettrica. Con i soldi che un operatore spende per un intercity elettrico nuovo di fabbrica, ne retrofitta due e avanza pure qualcosa. Insomma, risparmia, fa vera economia circolare e si ritrova a disposizione degli autobus sostanzialmente nuovi, se nel corso degli anni ha fatto tutte le manutenzioni del caso. Ecco, questo è il punto: perché rottamare un mezzo che ha ancora molto da dare? Qualcuno può avanzare dubbi sul telaio, ok, ma qui ci inseriamo noi: grazie al nostro know-how nel ferroviario urbano (più di 25 milioni di euro di fatturato nel 2024, per dare un dato, ndr) – mondo nel quale a metà vita di un tram, una metro metro e un treno si fa la revisione totale, che si chiama appunto “revisione di mezza vita”, chassis compreso – con i nostri scanner 3D e le nostre competenze passiamo in esame il telaio e, se c’è da sistemare qualcosa, col consenso del proprietario, la sistemiamo. E poi procediamo con il retrofit. Et voilà».
E il risparmio è, se vogliamo, doppio: «I clienti che utilizzano gli autobus retrofittati hanno un risparmio medio, a livello di costi, tale da ripagarsi l’investimento mediamente in 5 anni».

Tempistiche, batterie e infrastruttura
Un altro vantaggio? Le tempistiche di consegna, davvero ridotte. Sappiamo bene degli intoppi e le lungaggini della catena di fornitura, che hanno portato gli Oem a dilatare ben oltre l’anno le tempistiche di consegna. Ecco, per il retrofit è invece tutta un’altra storia: basta un mese. Certo, ci sono due-tre mesi di attesa per le celle, che Retrofleet ordina dalla Cina e poi assemblea in casa a Chambery e a Grugliasco, ma, dall’ordine, ovviamente pianificando le consegne a seconda dell’entità dell’ordine di conversione e compatibilmente con lo stock in magazzino, non si va oltre i 3 mesi più 30 giorni per completare la conversione e consegnare il rinato e-bus al cliente.
Ne consegue un ulteriore vantaggio: questo risparmio di tempo accorcerebbe (e non di poco), i tempi di eliminazione del numero di veicoli (altamente) inquinanti e dalle strade italiane, che è poi l’obiettivo e il senso della transizione ecologica. “Insomma, quello che facciamo è vera transizione ecologica!”, sottolinea Chiocchetti.
A proposito di batterie, il retrofit di Retrofleet per il Crossway Normal Floor consiste nell’installazione di tre pacchi batteria da 64 kWh ciascuno, per un totale dunque di 192 kWh, pari ad almeno 200 chilometri di autonomia. Due pacchi vengono allocati esattamente al centro del veicolo, (uno a destra e uno a sinistra) e uno al posteriore, in sostituzione del vecchio motore e cambio. E Chiocchetti assicura che lo spazio occupato dalle batterie va a togliere spazio a bordo per non più di sei persone in piedi.
A orchestrare l’energia il Battery Management Systems sviluppato in-house, così come porta sempre la firma di Retrofleet anche l’infrastruttura di ricarica: un dipartimento aziendale, Mona Energy, si occupa, infatti, della progettazione assolutamente customizzata e resa chiavi in mano dell’installazione delle colonnine di ricarica: il risultato di questa progettazione cucita su misura aumenta in modo importante il risparmio messo in campo dalla conversione sopra descritta.
Insomma, un pacchetto chiavi in mano e soprattutto win-win. Si scrive retrofit, si legge Retrofleet.



