di Gianluca Celentano

Per far ben comprendere come sia orientato a favorire il lavoro ai giovani rispetto ai pensionati, riporterò la mia esperienza personale: ricordo quando tanti anni fa consegnavo numerose candidature alle società di autoservizi pur non conoscendo la vita del mestiere. Avevo già maturato un’importante esperienze di guida non sapendo che la conduzione di un bus era totalmente diversa da furgoni e autovetture. L’inesorabile risposta di titolari e segretarie era sempre la stessa: “Serve esperienza!” Dopo tanti rifiuti ricordo che un giorno esclamai seccato: “Mi scusi, ma se la risposta è sempre questa, come faccio a fare esperienza se mi chiudete tutte le porte?” Oltre ad alzare le spalle qualcuno dava risposte concettualmente ancora più assurde del tipo: “Cosa ci vuoi fare, è così…“.

In quegli anni oltre ai dipendenti lavoravano una buona percentuale di pensionati provenienti dal tpl o gli stessi ex dipendenti, i quali creavano un muro invalicabile al rinnovamento e alle opportunità di altri.

Passa il tempo e cambiano drasticamente le regole del lavoro, le necessità e le motivazioni. Uno smacco per tante società, pur ammettendo per obiettività giornalistica, che oggi sarebbero proprio gli anziani e i pensionati l’ancora di salvezza di un comparto in crisi di conducenti. 

Pur non formulando un plauso al al lavoro precario, oggi esistono dei contratti di collaborazione limitati nelle ore e nelle retribuzioni interessanti anche per gli ex autisti che non ne vogliono sapere di far la vita da pensionato. Del resto far trasmettere da un anziano ai più giovani la passione per questo lavoro, rappresenterebbe un valore aggiunto e un investimento per la stessa società

C’è il contratto, non la normativa

A fronte della possibilità di poter continuare a collaborare con la propria azienda dopo il pensionamento, i contratti a chiamata rappresentano una – seppur minima – boccata d’ossigeno. Credo che l’argomento faccia in realtà comodo a moltissime realtà, anche del tpl, dove, i pensionamenti autoferro, avvengono un po’ prima.

In un momento di carenza di conducenti ci siamo accorti tutti dell’importanza di un servizio di mobilità collettiva su gomma, ma le regole sono discordanti. Infatti se la politica cerca di aggiungere neanche troppo velatamente anni di lavoro ai dipendenti, considerando le maggiori aspettative di vita, sono proprio le patenti degli autisti ad andare in pensione anticipata rispetto altri paesi UE. Il limite è 65 anni, poi scegli se prorogarla in commissione medica fino a 68 o, fartela revocare. Addirittura sul piazzale diversi autisti con contratto di collaborazione mi hanno detto d’aver ricevuto dei complimenti per la loro prontezza di riflessi durante le visite di rinnovo. Nell’immobilismo italiano la domanda spontanea è proprio questa: considerando le tante normative UE che dobbiamo recepire, tra cui quelle del CdS e sull’inquinamento, non varrebbe la pena aggiungere altri anni di vita alle patenti professionali se persistono nei soggetti i requisiti e l’idoneità psico fisica? Anche qui però bisogna agire subito

Operatori specializzati comunemente chiamati autisti

Chi più, chi meno, ormai con la CQC la figura del conducente ha assunto un po’ i connotati istituzionali legati a un ruolo “pubblico”. Probabilmente molti non sanno che tutte le aziende sono tenute a controllare periodicamente le condizioni psico-fisiche dei loro autisti. Questo avviene in aggiunta ai tanti controlli d’iniziativa che avvengono su strada anche con l’auto propria, che suonano un po’ come una mancanza di fiducia verso le tante società del comparto. Alla luce del fatto che gli autobus sono tra i mezzi più sicuri su cui viaggiare ma anche quelli più sotto i riflettori quando capita qualcosa, sarebbe da far sdoganare metaforicamente un buon cioccolatino ripieno concentrandosi invece sulla diffusione totale del cronotachigrafo digitale.

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