Ripensare il confronto tra aziende Tpl e organizzazioni sindacali, incrementare i salari e attenzione agli equilibri di bilancio delle aziende Tpl. Gli accordi di secondo livello? Non sono la soluzione, anzi

È quanto emerge dallo studio realizzato da Basco&T Consulting, società di consulenza nel settore del trasporto pubblico locale, che restituisce un’interpretazione unitaria e complessiva della situazione di deficit di autisti riscontrato in molte città e regioni italiane e lancia l’allarme per l’età media del personale in servizio che risulta essere sempre più alta (i possessori di CQC con meno di 24 anni sono solamente lo 0,4%), a fronte di stime che richiederebbero il reclutamento di 15mila profili nel prossimo triennio.  

Carenza autisti, le cause e le possibili soluzioni

Lo scarso interesse verso questa specifica professione è riconducibile alla perdita del suo potere di acquisto che, nonostante gli aumenti dei rinnovi del Contratto Nazionale Autoferrotranvieri, è andato gradualmente a deteriorarsi a seguito dell’aumento dell’inflazione. Non va inoltre tralasciato che sullo stipendio in generale incide in maniera non marginale il cuneo fiscale: ad esempio, per un lavoratore italiano standard (nubile/celibe e senza figli a carico) impatta nell’ordine del 46,5%. 

La causa principale della carenza degli autisti, che emerge dallo studio di Basco&T Consulting, riguarda però gli accordi di 2° livello, stipulati tra datore di lavoro e sindacati, e che consentono di derogare rispetto al CCNL di riferimento. Nella maggior parte dei casi, infatti, il confronto tra aziende Tpl e organizzazioni sindacali non ha prodotto un effettivo efficientamento nella gestione del personale viaggiante, finendo per incidere negativamente sulla prestazione lavorativa e senza produrre vantaggi economici sostanziali per gli autisti.

Nel dettaglio, è stata irrigidita la costruzione dei turni di lavoro per le aziende Tpl determinando, a parità di prestazione, un aumento del costo del personale. Se infatti la durata dell’orario di lavoro del personale viaggiante, da Contratto Nazionale Autoferrotranvieri, è fissato in 6,40 ore giornaliere o 40 ore settimanali, per effetto degli accordi integrativi, che tendono a ingessare la pianificazione, in alcuni casi la guida effettiva si è ridotta del 30%/40%. La stessa situazione si ritrova nell’ambito dei giorni lavorabili (cioè i giorni totali annui per i quali il personale viaggiante è disponibile per svolgere il servizio): da circa 270 giorni la presenza media degli autisti, in alcune realtà, scende a 210-230 giorni (valori pre-pandemia).

Allo stato attuale, senza dunque un adeguato aumento dell’efficienza della prestazione lavorativa risulta impossibile per le aziende Tpl sostenere gli aumenti dei salari, che rappresenterebbero la principale leva verso nuovi candidati, nonostante gli innumerevoli sforzi compiuti, ad esempio, mediante l’istituzione di academy per il reclutamento e la formazione permanente delle persone, la copertura dei costi per l’ottenimento della CQC (Carta di Qualificazione del Conducente) e nuovi strumenti di welfare come le palestre aziendali. 

In conclusione, spiega Edoardo Tartaglia, Managing Partner di Basco&T Consulting, vanno ripensati i presupposti del confronto tra azienda e organizzazioni sindacali affinché ci si focalizzi sulle reali esigenze dei lavoratori, ovvero un incremento dei salari, senza però tralasciare le esigenze di equilibrio dei bilanci delle aziende Tpl. Detto in altre parole: occorre incentrare il confronto sull’ottimizzazione della prestazione lavorativa correlata al miglioramento della retribuzione degli autisti, stimolando il lavoro di squadra e consentendo la distribuzione ai lavoratori di una parte dei ritorni economici generati dai recuperi di efficienza.
Si potrebbero così perseguire gli interessi degli autisti di un incremento salariale senza però incidere negativamente sui bilanci aziendali. 

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