La morte dell’autista Raffaele Marianella. Il pensiero
Un gesto vigliacco, figlio dell’incoscienza e dell’odio gratuito, ha spento la vita di un autista di autobusmentre faceva il proprio lavoro. Un’altra morte sul lavoro, un’altra tragedia che finisce in cronaca (e poinel dimenticatoio), ma che richiama i drammi e le incomprensioni di chi ogni giorno guida un autobus eraramente ha voce per raccontarli. Raffaele […]
Un gesto vigliacco, figlio dell’incoscienza e dell’odio gratuito, ha spento la vita di un autista di autobus
mentre faceva il proprio lavoro. Un’altra morte sul lavoro, un’altra tragedia che finisce in cronaca (e poi
nel dimenticatoio), ma che richiama i drammi e le incomprensioni di chi ogni giorno guida un autobus e
raramente ha voce per raccontarli.
Raffaele Marianella, 65 anni, romano di origine ma fiorentino d’adozione, è morto come non dovrebbe
morire nessuno: colpito da un sasso lanciato contro il parabrezza del pullman su cui viaggiava. Sulla
strada può capitare di tutto, lo sappiamo e lo mettiamo in conto: un guasto, un malore, un imprevisto. Ma
quello che non si può accettare è morire per un atto di puro vandalismo, per la mano cieca di chi
scambia la violenza per tifo. Un gesto tanto assurdo che neppure la famiglia, quando riceve quella maledetta telefonata, riesce a comprendere.
Il fatto
Dopo la vittoria del Pistoia Basket — e secondo le prime ricostruzioni già dopo qualche tafferuglio sugli
spalti — il pullman dei tifosi è stato scortato dalle forze dell’ordine per circa dieci minuti, come avviene di
consueto. Poi, a pattuglie allontanate, l’assalto. Una sassaiola violentissima, e una pietra — forse un
mattone — che ha infranto il parabrezza centrando in pieno Marianella. Non ha avuto scampo. Ora gli
inquirenti lavorano per dare un nome e un volto all’autore, o agli autori, di questo gesto omicida.
I colleghi lo ricordano
Il nostro amico e collega Roby Merlini, che lo aveva conosciuto sul lavoro, gli ha dedicato un video sincero.
Le sue parole sono le parole di tutti noi. Quelle di chi, ogni giorno, vede salire sul bus — solo perché ha pagato un biglietto — persone evidentemente alterate, capaci persino di lanciare bottiglie all’interno del mezzo, magari all’indirizzo dell’autista. Episodi che, come raccontano molti conducenti, non sono affatto rari.
Ho poi contattato Matteo, collega di lunga data, anch’egli romano ma con un percorso inverso rispetto a
Raffaele: da Firenze si è trasferito a Roma per continuare a fare l’autista. Aveva incontrato Raffaele solo pochi giorni fa, durante una sosta a Siena. Le sue parole, semplici, timide e vere, raccontano più di tante cronache: “Conoscevo personalmente questo collega, abbiamo lavorato insieme molti anni fa in una
ditta di Roma. Poi lui si era trasferito a Firenze, dove svolgeva con passione il suo lavoro, ad un passo dalla pensione. E pensare che pochi giorni fa ci siamo presi un caffè insieme. Condoglianze alla famiglia, mi stringo al loro dolore.”
Raffaele, sul piazzale, era conosciuto come un professionista stimato con una figlia a Roma e una vita spesa dietro a un volante, e sarebbe dovuto andare in pensione sereno. Da tre mesi lavorava per la Jimmy Travel di Firenze, dopo anni alla Giotto Bus.
“Era un uomo meraviglioso, un grande lavoratore”, raccontano i colleghi ancora increduli.
Il titolare dell’azienda aggiunge, sconvolto: “È assurdo morire così. Mi auguro che i responsabili
vengano puniti”.
Un altro collega, come Alfredo Cipolla, mi invia questo messaggio: “Per la sicurezza di noi conducenti, autoferrotranvieri e non solo, chiediamo di essere tutelati durante lo svolgimento del nostro lavoro.
In particolare chiediamo la possibilità di operare in sicurezza, con cabine di guida completamente chiuse e rinforzate, per evitare aggressioni. Oggi lavorare è un dovere, ma preservare la propria incolumità è un diritto sacrosanto“.
La figlia Federica, in una breve storia su Instagram, ha scritto solo poche parole: “Ti terrò sempre nel mio
cuore”.
di Gianluca Celentano
