Trasporti, mobilità e sicurezza: il rischio della “guerra ibrida”
La sicurezza del personale alla guida resta un tema centrale e continuerà ad esserlo. Ne abbiamo discusso spesso e lo faremo ancora, con l’obiettivo di osservare finalmente una riduzione concreta delle aggressioni e dei rischi sul lavoro. Ma la sicurezza non riguarda soltanto l’incolumità fisica, né si esaurisce nella violenza verbale, pur in crescita. C’è […]
La sicurezza del personale alla guida resta un tema centrale e continuerà ad esserlo. Ne abbiamo discusso spesso e lo faremo ancora, con l’obiettivo di osservare finalmente una riduzione concreta delle aggressioni e dei rischi sul lavoro. Ma la sicurezza non riguarda soltanto l’incolumità fisica, né si esaurisce nella violenza verbale, pur in crescita.
C’è una dimensione, quasi sconosciuta nel mondo dei trasporti, che non riguarda solo gli autisti: la guerra ibrida. Una minaccia silenziosa in grado di colpire infrastrutture, sistemi informatici, reti energetiche e, di riflesso, la mobilità delle persone. Riassumerne la portata senza banalizzarla non è semplice, ma la novità — emersa da fonti istituzionali e governative — è che per la prima volta il tema viene indicato come un monito anche per il trasporto pubblico.
Il recente “Non-Paper 2025” del Ministro della Difesa Guido Crosetto, un documento di 125 pagine, analizza minacce, vulnerabilità e scenari di sicurezza nazionale. E riguarda più da vicino di quanto si pensi anche il settore dei trasporti, quindi anche quello su gomma.
Si tratta di una forma di attacco che non usa armi convenzionali, ma punta a creare caos attraverso intrusioni informatiche, disinformazione, sabotaggi invisibili e pressioni economiche. Una strategia che può colpire la mobilità molto più di quanto immaginiamo. Al di là delle sensibilità personali, lo stesso Capo di Stato Maggiore dell’Esercito, generale Masiello, ha ricordato più volte che il rischio di scenari di confronto è reale, introducendo un termine a cui l’Italia non era abituata: “guerra”, e non più “missioni di pace”. Alcune fonti autorevoli osservano che ci siamo mossi con un certo ritardo, ma oggi serve preparazione.
Quando il bersaglio è l’infrastruttura
Il documento del Ministero della Difesa individua come più esposti siano energia, telecomunicazioni, sanità, finanza e trasporti. Un attacco non deve colpire direttamente un’azienda di TPL per creare un danno: basta intervenire su ciò che la fa funzionare. Un esempio concreto è un ransomware contro una centrale elettrica o un operatore di rete, capace di mettere in crisi la ricarica dei bus elettrici, sempre più presenti nelle flotte urbane. In alcune città europee, negli ultimi anni, episodi simili hanno già provocato ritardi e limitazioni al servizio.
Nel trasporto pubblico moderno, ogni filiera dipende dall’altra e, se cade un anello dell’energia o della rete, i disagi possono essere immediati.
Centrali operative, AVM e bigliettazione
Esistono poi i rischi più visibili, quelli ai danni delle stesse aziende di trasporto. Gli attacchi informatici ai sistemi di controllo flotta, agli AVM, ai software di bigliettazione e ai server che coordinano i servizi sono in costante aumento in tutta Europa. In alcuni casi hanno paralizzato per ore o giorni sale operative e le attività collegate. È sufficiente immaginare un virus che blocca o distorce le informazioni, o che isola veicoli, aerei e treni dalla rete, per comprendere quanto la dimensione digitale sia ormai una parte essenziale del servizio.
L’Italia si è mossa tardi
Secondo indiscrezioni provenienti dall’ambiente della sicurezza, i rischi erano noti da tempo, ma la risposta italiana è stata più lenta rispetto ad altri Paesi. Crosetto lo ha ribadito con chiarezza: “contenere non basta”. Serve una struttura dedicata alla difesa cyber, una protezione continua delle infrastrutture critiche e una cooperazione costante tra difesa, aziende e istituzioni. Il tema non riguarda soltanto gli eserciti o le grandi reti energetiche, ma interessa anche chi ogni giorno garantisce la mobilità urbana.
Disinformazione e fake news: il fronte che destabilizza
Nel documento emerge un altro elemento spesso sottovalutato. La guerra ibrida non si esprime solo con attacchi tecnici, ma anche con la manipolazione delle percezioni: fake news, falsi allarmi, campagne di disinformazione. Sono attività che richiedono verifiche continue da parte di media, aziende e istituzioni; sottraggono tempo, creano panico e possono erodere la fiducia dei cittadini nei servizi essenziali. Un’ondata di notizie infondate — ad esempio su un presunto attacco ai trasporti — può generare effetti più dannosi di un malware e alimentare insicurezza anche dove non esiste.
Perché tutto questo riguarda un autobus?
Il trasporto pubblico è uno dei settori chiave della vita quotidiana. Bloccarlo significa fermare una città, creare disagio sociale e indebolire la fiducia in un servizio che deve restare continuo e affidabile. Significa anche esporre gli autisti, come prima interfaccia con il pubblico, a tensioni e contestazioni nate da problemi che non dipendono da loro.
Il messaggio da portare a casa
La guerra ibrida non è fantascienza e non riguarda solo le forze armate. Coinvolge tutte le infrastrutture da cui dipende il Paese, e il trasporto pubblico — autobus compresi — è una di queste. Serve da parte di istituzioni e aziende una consapevolezza nuova, cioè che la sicurezza non è più soltanto “a bordo”, ma intorno al mezzo, nelle reti, nei software, nelle centrali operative e nelle informazioni che circolano ogni giorno.
È un tema impegnativo, ma necessario. E forse è arrivato il momento che anche il mondo dei trasporti lo guardi con la stessa serietà con cui affronta la sicurezza del conducente.
di Gianluca Celentano
