È sera quando il telefono squilla. Dall’altra parte riconosco subito la voce di una fonte fidata della Fit-Cisl con più di trent’anni di volante, poi la pensione, ma la testa ancora dentro il mondo del trasporto persone. Parla con calma, quella calma di chi ne ha viste tante, ma nel timbro c’è anche una malinconia sottile quando ripensa a come funzionava – e come non funziona più – questo mestiere. Il discorso scivola presto sul presente, sui giovani che entrano, su quelli che se ne vanno, e sul futuro di un settore che rischia di non trovare più chi lo regge. “Servono scelte radicali”, mi dice senza giri di parole. “Non i progetti spot o le spese di facciata. Qui servono stipendi dignitosi, orari più umani e una partecipazione vera dei sindacati, non solo di facciata”. Insomma, mi ripete quello che sui social e sui piazzali quasi tutti i conducenti ripetono di continuo.

Salari lenti, inflazione veloce 

La richiesta è chiara: mi confida che serve un aumento di circa 800 euro netti (e specifica “il netti”) in busta paga. Una cifra che spicca se confrontata con gli aumenti previsti dal nuovo contratto nazionale. Il rinnovo 2024-2026, firmato da Asstra, Anav e Agens con Filt-Cgil, Fit-Cisl, Uiltrasporti, Faisa-Cisal e Ugl, ha infatti portato – come indicano le note ufficiali di sindacati e associazioni datoriali – un incremento economico medio a regime tra 220 e 240 euro lordi al mese, oltre a una una tantum di 500 euro a copertura del 2024. Parallelamente, il Governo ha confermato per il 2025 il prolungamento strutturale del taglio del cuneo fiscale per i redditi da lavoro dipendente fino a circa 35 000 €/anno. Nelle ultime manovre è tornata allo studio, l’ipotesi di una detassazione o tassazione agevolata della tredicesima mensilità e degli aumenti derivanti dai rinnovi contrattuali. Misure presentate come strumenti per rafforzare il potere d’acquisto dei lavoratori a reddito medio-basso, senza toccare direttamente i minimi tabellari dei contratti collettivi. Negli ultimi anni, raccontano diversi addetti, il confronto tra aziende e sindacati si è spesso retto su un equilibrio fragile, fatto di compromessi e rinvii. Una “pace sociale” che molti interpretano come un lunga attesa, dove i nodi più critici sono rimasti sul tavolo e oggi, con il settore in affanno, emergono con maggiore forza. Non è questione di colpe individuali, ma di un sistema che ha preferito tamponare invece di intervenire davvero. 

Il nodo del “nastro lavorativo”

Altro punto sensibile è il nastro lavorativo, cioè l’arco massimo di impegno giornaliero. Oggi il CCNL Autoferrotranvieri prevede per il personale viaggiante un limite di 12 ore, con possibili deroghe aziendali. Una durata introdotta decenni fa e considerata ormai eccessiva da molti autisti e rappresentanze sindacali. Ridurla, sostiene la fonte, significherebbe migliorare il benessere degli operatori, diminuire stress e fatica e riportare equilibrio tra tempo impiegato e salario reale. “Le persone sono cambiate”, osserva. “Una volta si lavorava e si viveva; oggi si lavora e basta”. È una preoccupazione che ricorre anche tra gli addetti del settore, ma toccare il nastro lavorativo richiederebbe una revisione profonda del contratto nazionale. I colloqui avuti con alcune segreterie confermano la delicatezza del tema e la sensazione che, al momento, i tempi non siano ancora maturi.

Sindacati nei consigli di amministrazione

La novità più rilevante riguarda la possibile presenza dei lavoratori nei consigli di amministrazione delle aziende di trasporto pubblico. In Germania, il modello della “cogestione” (Mitbestimmungsgesetz) prevede da anni che i dipendenti eleggano propri rappresentanti nei consigli di sorveglianza delle imprese di grandi dimensioni. In Italia, la legge del 14 maggio 2025 ha aperto alla possibilità di inserire rappresentanti dei lavoratori negli organi societari — sia amministrativi sia di controllo — ma solo se previsto dagli statuti aziendali e dagli accordi collettivi. Al momento, tuttavia, l’applicazione concreta rimane molto limitata. Secondo la fonte sindacale, questo sarebbe l’unico modo per dare ai lavoratori una presenza reale nei processi decisionali, superando il ruolo di semplice interlocutore esterno nelle trattative. Anche la UIL sostiene che il tema della presenza dei lavoratori nei board meriti un approfondimento da valutare con attenzione.

Il malessere nel Tpl è ormai strutturale, non più un’emergenza

Il quadro che emerge dalle sue parole è quello di un settore stremato, fatto di scioperi frequenti, spesso di poche ore, che non sembrano cambiare davvero le condizioni di lavoro. All’interno, le divisioni tra sigle sindacali indeboliscono la forza negoziale e riducono la fiducia dei lavoratori nella possibilità di ottenere risultati concreti. Alla fine della telefonata resta un silenzio pesante, quello che accompagna i settori arrivati al limite. I numeri confermano un quadro conosciuto, quello degli stipendi che crescono meno dell’inflazione, turni estenuanti e una carenza cronica di autisti certificata da associazioni datoriali e sindacati. La legge del 2025 apre alla partecipazione dei lavoratori nei board aziendali, ma non risultano, ad oggi, applicazioni pubblicamente documentate nelle grandi aziende del TPL. È qui che si gioca il futuro del trasporto pubblico, tra norme che cambiano lentamente e una base che chiede risposte subito. Per ora, la distanza resta tutta lì, nei piazzali e nelle parole di chi quel mondo lo ha retto per una vita.

di Gianluca Celentano

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