Sostenibilità sì, ma non a spese dei cittadini: la vera sfida della mobilità (a Milano)
Perché un’auto o un autobus ancora funzionante in Italia deve essere fermato o rottamato, mentre fuori dall’Europa circola senza problemi? Qui è “troppo inquinante”, altrove diventa una risorsa. Non è una scelta italiana ma dell’Unione Europea con il Regolamento (UE) 2019/631 e il pacchetto Fit for 55. Bruxelles infatti, impone limiti severi e sanzioni in […]
Perché un’auto o un autobus ancora funzionante in Italia deve essere fermato o rottamato, mentre fuori dall’Europa circola senza problemi? Qui è “troppo inquinante”, altrove diventa una risorsa. Non è una scelta italiana ma dell’Unione Europea con il Regolamento (UE) 2019/631 e il pacchetto Fit for 55. Bruxelles infatti, impone limiti severi e sanzioni in un quadro dove i Paesi più forti, come Germania e Francia, investono di più; l’Italia procede con meno risorse e fondi del PNRR vincolati quasi solo all’acquisto di nuovi mezzi, mentre stipendi e servizi restano in secondo piano.
L’elettrico funziona, ma non basta
Secondo lo Smart Mobility Report 2025 del Politecnico di Milano, nei primi mesi dell’anno le immatricolazioni elettriche in Italia sono cresciute del 63%, con un picco del 92% in aprile. Ma i limiti restano evidenti e lo studio E-Private Mobility Index, sviluppato da Politecnico di Milano e UnipolTech, evidenzia che solo il 20-30% delle auto private potrebbe essere realisticamente sostituito da un’elettrica senza stravolgere le abitudini di utilizzo. Il costo rimane l’ostacolo principale, infatti un autobus elettrico da 12 metri oggi cosra circa il del doppio di un diesel, a cui si aggiungono le spese per infrastrutture e ricariche. Mentre il Nord Europa corre, l’Italia sembra arrancare.
Rabbia, necessità e qualità della vita
“Il mezzo qui lo butti, laggiù lo guidano. E alla fine ci rimettiamo noi”, questo è quello che dicono diversi autisti. Sui bus turistici gravano divieti di scarico e soste limitate pe rcui non è solo una questione ambientale, ma anche di sostenibilità economica, considerando che cambiare auto pesa sui bilanci familiari. Intanto Milano diventa sempre più stretta, congestionata e “verticale”, e gli autisti non hanno vita facile. Carreggiate ridotte da piste ciclabili spesso poco connesse, cementificazione crescente e spazi vitali che si restringono alimentano la frenesia. Anche i mezzi pubblici ne risentono, costretti a muoversi in condizioni sempre più difficili. In questo contesto, l’idea di introdurre un ticket per entrare o uscire dalla città rischia di diventare un ulteriore fardello per chi già fatica a spostarsi. Non è chiaro chi dovrebbe pagarlo – residenti, pendolari o tutti – e al momento resta soltanto un’ipotesi. Servono piuttosto agevolazioni per chi ha redditi bassi, un trasporto pubblico davvero efficiente e un’integrazione reale con la mobilità ciclabile e pedonale.
Una questione ancora aperta
Secondo stime rilanciate da Milano Città Stato, magazine online indipendente nato nel 2015 che si definisce il primo progetto editoriale a immaginare Milano come città-Stato, un ticket per l’Area B potrebbe generare fino a 500 milioni di euro l’anno da destinare a progetti cittadini. Ma resta solo un’ipotesi, perché il Comune non ha preso decisioni ufficiali né fissato scadenze concrete. La transizione ecologica è necessaria, ma non può trasformarsi in una nuova disuguaglianza sociale.
Resta però una domanda scomoda, che riguarda anche il trasporto pubblico: perché è così difficile garantire più controlli, sia per la sicurezza sia per il pagamento dei biglietti? Entrate che sarebbero preziose per le casse dell’amministrazione.
di Gianluca Celentano
