Il diritto di viaggiare bene: passeggini e carrozzine, ripensare le fermate
Tra leggi assenti e gestioni locali, il trasporto urbano rischia di diventare un campo minato in molte città per utenti e conducenti? Non esiste una legge nazionale che disciplini in modo uniforme l’accesso a bordo degli autobus urbani per passeggini e carrozzine per persone con disabilità. Tutto è affidato ai regolamenti locali delle singole aziende […]
Tra leggi assenti e gestioni locali, il trasporto urbano rischia di diventare un campo minato in molte città per utenti e conducenti? Non esiste una legge nazionale che disciplini in modo uniforme l’accesso a bordo degli autobus urbani per passeggini e carrozzine per persone con disabilità. Tutto è affidato ai regolamenti locali delle singole aziende di trasporto con disposizioni variabili, talvolta ben strutturate, più spesso lasciate al buon senso del conducente e alla collaborazione – non sempre garantita – dei passeggeri.
Ad esempio, TPL Linea (provincia di Savona) consente a bordo anche passeggini non piegati ma solo se il mezzo è omologato e solo se la postazione riservata ai disabili non è occupata. Le carrozzine non devono superare i 300 kg, ed è ammesso per ogni passeggero, un solo bagaglio con specifiche misure e senza che quest’ultimo possa ostruire il corridoio.
Pedane, ostacoli e variabili
Stando alle norme europee, l’accessibilità è un diritto, ma nei fatti, non esiste alcun obbligo nazionale che imponga l’uso di pedane manuali per l’imbarco di carrozzine: ogni vettore decide in base a bilanci, bandi e compatibilità di flotta. Eppure, la pedana manuale – manovrabile dal conducente – è spesso più affidabile di quelle elettriche, soggette a guasti. Gli autisti, quando possibile, comprendono e collaborano, ma lo fanno in un contesto logorante: uscire dal posto guida, interpretare regole e gestire conflitti. A peggiorare la situazione ci sono infrastrutture inadeguate che non consentono nemmeno di accostare correttamente alla fermata. Ne derivano ritardi, proteste e disagi crescenti.
Alcuni autisti propongono di ripensare il sistema delle fermate, aumentando le distanze tra una e l’altra. L’obiettivo? Ridurre le manovre improvvise, migliorare la fluidità di guida e contribuire a contenere il fenomeno del burnout. Secondo questa visione, servirebbero punti di carico prestabiliti, più razionali e funzionali, capaci di superare l’attuale – e spesso obsoleto – concetto di fermata tradizionale.
Fuga dal tpl? Passeggeri incivili e controlli inesistenti
C’è poi un altro fronte, quello della mancanza di controlli a bordo. In molte città, il trasporto pubblico locale viene usato da passeggeri che ignorano deliberatamente le regole: passeggini aperti nei corridoi, carrozzine che non trovano spazio, bagagli sparsi ovunque spesso per disinformazione o disinteresse. Ma la responsabilità non può ricadere sull’autista, che è chiamato a “fare ordine” senza strumenti né supporto. A farsene carico dovrebbero essere le amministrazioni locali, poi le società. In questo scenario, molti cittadini preferiscono l’auto privata. E chi potrebbe scegliere il Tpl, spesso lo evita. Per invertire la tendenza servono investimenti veri: corsie preferenziali, semafori intelligenti, videosorveglianza a bordo e campagne di informazione anche in più lingue. Non bastano solo i proclami green.
Il dibattito non deve diventare una crociata contro chi usa l’auto, ma una riflessione sulla mancanza di alternative davvero efficienti. La mobilità pubblica dev’essere una scelta conveniente, sicura, accessibile e, aggiungerei, dignitosa. Oggi, invece, è spesso un salto nel vuoto, e a rimetterci, sono tutti: il cittadino con disabilità, il genitore col passeggino, l’autista costretto a improvvisarsi vigile urbano, tecnico e psicologo.
di Gianluca Celentano
