A 10.000 metri sì, a 10 centimetri no. Dal cielo al bus cambia tutto (e non va bene)
Quando un aereo è pronto per il decollo o l’atterraggio, tutti i viaggiatori eseguono all’unisono una manovra: si allacciano le cinture di sicurezza. Chissà, forse a convincerci è la consapevolezza che si è in quota, affidati a fenomeni come la portanza aerodinamica. Dall’aereo alla strada Sulla strada invece le cose cambiano. Si è a pochi […]
Quando un aereo è pronto per il decollo o l’atterraggio, tutti i viaggiatori eseguono all’unisono una manovra: si allacciano le cinture di sicurezza. Chissà, forse a convincerci è la consapevolezza che si è in quota, affidati a fenomeni come la portanza aerodinamica.
Dall’aereo alla strada
Sulla strada invece le cose cambiano. Si è a pochi centimetri d’altezza dalla strada, ma gli ostacoli sono disseminati ovunque, eppure, la cintura di sicurezza diventa spesso solo una “scomodità” .
Ecco perché, sugli autobus – nonostante la raccomandazione dell’autista – lo schema è sempre lo stesso: l’autista invita ad allacciarsi, l’autobus parte, e qualche minuto dopo… clic, la cintura si slaccia silenziosamente. Il corridoio deve poter essere un terreno libero, dove camminare, conversare, magari raggiungere l’autista per dire qualcosa su strada o destinazione. Provate a immaginare la stessa scena su un Airbus A320: passeggeri che si alzano, raggiungono il pilota e, con naturalezza, chiedono: “Scusi, può andare un po’ più veloce?”. Surreale, vero?
Non solo maleducazione: è una norma ignorata
È ancora molto forte osservare un pullman come la “corriera paesana” che lascia fare a bordo quasi tutto. Il “quasi” però è opinabile, come raccontano molti conducenti delle linee aeroportuali che spesso trovano nei sedili davvero di tutto… i cestini a bordo ci sono.
Non è solo maleducazione, semmai è la facilità con cui norme chiare – come quelle che impongono di indossare la cintura – vengono impunemente bypassate.
Dal punto di vista del conducente, la situazione è frustrante; lui guida, guarda avanti, osserva lo specchietto che più assomiglia a un incubo che a un aiuto. Con norme sempre più stringenti e responsabilità che aumentano, non serve aggiungere “pesi” alla diligenza del buon conducente; semmai, serve intervenire concretamente su chi sale a bordo. Non è questione di “classismo”, ma di comportamento: se non si è predisposti al viaggio collettivo, forse occorre trovare un’altra soluzione.
Rappresentanza e investimenti intelligenti
Quando una categoria chiede di essere rappresentata anche sul piano economico, c’è sempre una motivazione concreta. Allo stesso tempo, è fondamentale che le risorse vengano investite in progetti nuovi e ormai indispensabili per garantire standard di sicurezza ancora più elevati a bordo degli autobus, che vale la pena ricordarlo – sono già tra i mezzi più sicuri sulla strada. Soluzioni che possano anche fungere da ammortizzatori sociali per chi non è più idoneo alla guida, o da nuove opportunità professionali in un settore e un mondo che evolve velocemente. Video informativi prima della partenza, assicurazioni valide se un viaggio viene annullato perché i passeggeri non rispettano le norme… la lista è lunga, e forse occorre partire dalle grandi società come progetto pilota, affinché l’esempio possa contagiare anche i piccoli vettori.
Non lasciamo solo chi guida
Il conducente, che è il vero garante della sicurezza, non può diventare l’unico controllore, l’unico responsabile, l’unica figura in trincea. Quello che, se tutto va bene, è un eroe, e se qualcosa va male diventa il bersaglio da linciare. Non può funzionare così, perché il prezzo alla fine, lo paga tutta la categoria.
E il richiamo è forte anche dopo un triste episodio recente: lo scontro tra un’auto e un autobus con una cinquantina di studenti a bordo nel Trevigiano, che ha causato un morto e undici feriti. La prontezza dell’autista nell’evacuare i ragazzi è stata giustamente riconosciuta. Serve dunque, per i conducenti, uno sguardo che vada oltre la routine della cintura che non si allaccia.
di Gianluca Celentano
