Quattro lettere, una sigla, un acronimo: Ccig. Quattro lettere, una sigla, un acronimo che stanno per China City Industrial Group. Dei Carneadi, almeno alle nostre coordinate geografiche, mentre si tratta di azienda nota in patria e non solo.

Siamo andati a cercare qualche informazione sulla realtà che da mesi (dal 4 giugno) è molto chiacchierata per il suo interessamento a rilevare una quota del capitale di Industria Italiana Autobus, che – notizia di oggi – tornerà a chiamarsi Menarinibus, secondo quanto dichiarato dalla nuova proprietà.

Stando a quanto noto al momento, Ccig dovrebbe entrare in IIA con una partecipazione del 25%, gentilmente concessa dalla nuova proprietà della famiglia Civitillo (Seri Industrial), sotto la benedizione del ministero delle imprese e del made in Italy Adolfo Urso. Un ingresso che di fatto porterà alla nascita di Industria italo-cinese Autobus, scusateci il gioco di parole.

Nulla di complicato, in realtà, capire chi è Ccig. Sul sito della compagnia, c’è una paginetta dedicata alla carta d’identità, nella quale si legge: «Fondata nel marzo 2016, CCIG (precedentemente nota come “CRRC Urban Transportation Co., Ltd”) è un’impresa di proprietà mista, a capitale statale, costituita come joint venture tra CRRC e capitali statali locali e investitori strategici nella regione del Delta del fiume Yangtze». Chi siano quegli investitori strategici, però, è da capire. Siamo certi che al Mimit sappiano chi siano.

CRRC ci è nota, avendo conosciuto i suoi mezzi nelle fiere di settore in Europa, ma rispetto ad altri costruttori del Paese del Dragone come Yutong e Byd, per esempio, non ha ancora messo le radici nel Vecchio Continente e in Italia.

Leggiamo ancora: «La società ha sede a Fenhu, Wujiang, Suzhou, con un patrimonio totale di quasi 50 miliardi di yuan (circa 6 miliardi di euro, ndr), un patrimonio netto di oltre 28 miliardi di yuan e quasi 10.000 dipendenti». L’azienda, si legge ancora, «ha importanti basi di produzione e di servizio nel delta del fiume Yangtze, nel delta del fiume Pearl, nel Bohai Rim, nella Cina centrale e in Ungheria, Malesia e Singapore, con istituti di ricerca e sviluppo elettromeccanici ed elettrici in Germania e Giappone».

A differenza di Seri Industrial, che di autobus o comunque di mezzi a quattro ruote destinate al trasporto di persone o cose non ne ha mai costruiti, il gruppo cinese sì. Gruppo che ha le mani e i piedi in cinque settori con 5 divisioni: «Greenway Heavy Industries, GS Mechatronics, Greenway Electric, CRRC MRT e Galactic Development, e due società quotate nel consiglio principale delle azioni A: Thinker Agricultural Machinery e Heshun Electric (Harmonic Electric)». Insomma, il gigante cinese è impegnato in settori chiave come quello dell’automotive, della meccatronica, dei macchinari agricoli, dei sistemi di stoccaggio dell’energia e di quelli di elevazione, domestica e non.

Sul sito una sezione è riservata proprio all’offerta automotive, che si compone di una vasta gamma di bus&coach: 4 modelli di autobus elettrici (rispettivamente da 6, 8, 12 e 18 metri) e 3 fuel cell (8,5 – 10,5 e 12 metri) e quattro modelli diesel o a gas, due per ciascuna tipologia di trazione. Venendo ai turistici, ben 9 i torpedoni a portafoglio: tre a batterie (da 7, 9 e 11 metri), due a idrogeno (7 e 11 metri) e tre a  motorizzazione diesel (7,2 – 9 – 12 metri).

Il know-how sembra esserci, la potenza di fuoco anche. Sulla qualità dei prodotti non ci esprimiamo, perché non ci possiamo proprio esprimere, avendoli visti e toccati solo negli stand fieristici. Il connubio IIA-CRRC, parodn IIA-CCIG può portare a sfornare autobus urbani e interurbani (e chissà, magari anche Classe III) competitivi per il mercato italiano ed europeo. Ma ci sono ancora troppi ma: staremo a vedere.

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